Santa Maradona di Marco Ponti
 
Luca Malavasi
 
Giovani, carini, disoccupati, molti più giovani e disoccupati dei trentenni de L’ultimo bacio, termine di riferimento obbligato (insieme a molti altri, a dire il vero) per capire identità e successo di Santa Maradona, esordio alla regia di Marco Ponti, già sceneggiatore di pellicole comiche come Se fossi in te e Ricomincio da capo (sul carino, poco da dire: quando le facce non sono le stesse – e nel cinema italiano accade di rado – si somigliano da morire. Ma qui c’è una bella eccezione, il bravissimo Libero de Rienzo, capace di trasformare il “mai bravissimo” Accorsi in una spalla).
Del film di Muccino, campione d’incassi della stagione dell’anno scorso e trascinatore del “miracolo” del cinema italiano, Santa Maradona sembrerebbe al tempo stesso un prequel e un sequel: un prequel relativamente alla trama, poiché i venticinquenni protagonisti, chi ancora all’università (la meravigliosa Mandala Tayde), chi neo-laureato in cerca di lavoro (l’immancabile Accorsi), sembrano proprio i personaggi de L’ultimo bacio cinque, otto, dieci anni prima; un sequel per quanto riguarda i molti punti di tangenza fra i due progetti comunicativi (e l’evidente funzione di “molla” giocata dagli incassi di Muccino sulla produzione di Santa Maradona): in poche parole, dare a una generazione di spettatori il suo film. Italiano.
Già, perché questo è il punto (e Ponti lo sa bene, quasi meglio di Muccino): Santa Maradona risponde a quel bisogno diffuso, naturalmente indotto dal cinema stesso ma soprattutto dalla televisione (e in particolare da Mtv, grande mediatore di modelli internazionali sullo sfondo di una precisa geografia nazional-popolare), di una “generazionalità” all’italiana, dove New York diventi Roma o Torino, dove Bart suoni come il diminutivo di Bartolomeo, la coca-cola sia l’aranciata San Pellegrino e in discoteca suonino i Subsonica. E si spiega così anche la voglia di Ponti di ripercorrere, “all’italiana”, certi luoghi di culto del recente giovane cinema americano, come la videoteca di Clerks (ma qui perde il confronto) e le strade, fatte sempre di corsa, di Trainspotting.
Insomma, per citare una vecchia canzone di Fossati, oggi, sicuramente al cinema, “dire il nome di Bologna non ci sembra strano” e, anzi, L’ultimo bacio, mutuandola dalla recente filmografia Usa, sembra aver indicato anche la formula magica, di cui Ponti si appropria arricchendola di “alto” e “basso”, battuta secca e riflessione da semiologo (qual è).
Le differenze fra i due film invece, tutt’altro che trascurabili, dipendono proprio dalla carta d’identità dei protagonisti, che modifica sensibilmente la natura del loro rapporto con il presente e, soprattutto, con il futuro. Con una formula, potremmo dire che Santa Maradona tematizza il problema di decidere se decidere rispetto alle infinte possibilità che si schiudono di fronte a un giovane, mentre L’ultimo bacio pone al centro della narrazione il tema del decidere se non decidere, spostamento di segno (positivo/negativo) e di atteggiamento (dallo slancio alla ritirata) dovuto al confronto con le conseguenze delle decisioni già prese. Insomma: da una parte, la commedia vera e propria, tradizionalmente conclusa dalla promessa di un nuovo inizio, dall’altra parte la tragicommedia o la farsa (ma anche, metaforicamente, il melodramma), dove un’identità più caratterizzata e una serie di scelte fondamentali già compiute giocano il ruolo di fantasmi cui comunque, alla fine, dopo aver timidamente tentato di reagire con la fuga, si torna, perché si è costretti a farlo o perché ci si rende conto della vanità dei propri desideri. Come dire che il salto finale dei protagonisti di Santa Maradona è il primo passo verso la costruzione dei propri rimpianti.