MARIA
TERESA
ROSA
BAREZZANI
Una rilettura di
Le Greygnour
Bien
di Matteo da Perugia*
La
ballade Le greygnour bien1
(vedine il
facsimile
nell’app. 1) è collocata nel quarto fascicolo del codice Modena
.M.5.24
(cc. 32r–31v), che costituisce – insieme ai due che lo precedono – il corpo
centrale del manoscritto.
Quanto al
luogo di redazione di questi fascicoli (che potrebbe avere una relazione con
il testo della ballade) e sulla loro datazione esistono più ipotesi: secondo
Sartori2
Pavia e il cenacolo di musicisti raccolti intorno al cardinale Pietro Filargo,
futuro papa Alessandro v, fra il 1406 e il 1408 sarebbe stato il luogo di
compilazione delle carte interne del codice. Più precisamente una parte del
repertorio sarebbe stata prodotta presso la corte pavese dei Visconti,3
mentre la redazione dei fascicoli
II–IV
sarebbe avvenuta presso la cappella del cardinale. Da parte sua, Anne Stone4
propone una redazione in più fasi, legate agli spostamenti di Matteo, partendo
da quella pavese profilata da Sartori, comprendendo poi una fase pisana, connessa
con la partecipazione di Pietro Filargo ai lavori del Concilio, e una terza
fase decorrente dal 1410. Esattamente da quest’anno fino al 1414, avrebbe
avuto luogo, stando a Pirrotta,5
la redazione dei fascicoli centrali del codice.
Successivamente sarebbero
stati accorpati, magari in tempi diversi (secondo le ipotesi di Anne Stone,
che compariranno nell'edizione facsimile del codice, di prossima pubblicazione)
i fascicoli esterni.
Il compositore faceva parte probabilmente di quel Collegium,
al quale si rivolgeva con deferenza Corrado da Pistoia,6
e forse proprio a uno dei membri era destinato il testo non convenzionale
della Ballade in oggetto; in quest’opera
(che potrebbe essere dello stesso Matteo) si parla della Facondia come della
capacità di esprimersi con proprietà di linguaggio e con equilibrata eloquenza.
Considerata in queste sue caratteristiche – che la allontanano dalla vuota
enfasi dell’oratore – la Facondia sarebbe il dono più grande fatto all’umanità,
dono che sarebbe comunque – stando al rammarico dell’autore – ignorato dalle
Scuole di retorica.7
Argomento di questo contributo è una nuova lettura della ballade dal punto
di vista notazionale, fenomeno grafico che è l’espressione del componimento
musicale; per giungere a porre in discussione alcune soluzioni date a suo
tempo da Apel e da Greene e per poter affrontare (e confutare ?) qualche recente
ipotesi, è infatti necessaria la conoscenza dei mezzi di cui dispone lo scriba
(o lo stesso autore) e del suo modo di procedere in questa particolare composizione.
La notazione
Come
è noto l’Ars subtilior, una delle
tendenze stilistiche in atto in Europa tra la fine del Trecento e l’inizio
del Quattrocento (ma che culmina nel decennio 1380–1390), è un movimento che
ha origini nel sud della Francia e che – nella sua veloce diffusione – è poi
recepito in modi e misure differenti, soprattutto nelle aree periferiche.
In Italia queste nuove norme convivono con le consuetudini locali più radicate:
entrambe le realtà dipendono poi, almeno in parte, anche dal livello del testo
e dalla destinazione del componimento.
Se l’innesto di nuovi modelli sulle tradizioni italiane avviene con modalità
che possono variare da caso a caso, resta però chiaro che i conflitti mensurali
appoggiati ai ben noti segni di mensura e di proporzione (ma anche in loro
assenza) sono decisi attraverso l’uso di grafie che possono essere sia tradizionali
sia di nuova creazione.
È comunemente accettato che l’Ars subtilior
sia fenomeno in fase di sperimentazione, provvisto di forza tale da agevolare
la rottura nei confronti di schemi prestabiliti e di portare – se occorre
– alla negazione di norme ritenute inattaccabili. Dal punto di vista notazionale
porta con sé alcuni elementi variamente distribuiti nelle aree compositive,
sedi di orientamenti diversi, ma come struttura di base restano queste componenti:
1)
i simboli, pur conservando la loro fisionomia non hanno valore univoco,
ma cambiano di significato a seconda delle necessità e del contesto;8
2) al contrario, risultati identici si possono raggiungere attraverso morfologie
diverse e differenti raggruppamenti:9
procedimento dalle radici profonde che possono arrivare fino alle ligature
delle notazioni pre-franconiane del mottetto del Duecento, e anche a quelle
che – già franconiane – necessitano talvolta di una interpretazione empirica
come accade nel codice di Las Huelgas.
Nel
codice di Modena, che contiene quasi tutta l’opera di Matteo, appare un sistema
che comprende procedimenti francesi e italiani, e, in più, nuove forme rappresentanti
valori sempre più sottili. Qui, come in codici paralleli, rileviamo la presenza
sia di figure particolari e di raggruppamenti speciali che introducono rapporti
proporzionali o iniziano una sincopazione, sia la molteplicità di significati
assegnati a una stessa figura (e in questo settore possiamo collocare anche
le note vuote, il cui valore varia all’interno della composizione perché deve
essere in continuo contrasto con le piene, a loro volta condizionate dal segno
di mensura).
Tutti i modelli di notazione adottati da Matteo (note nere, rosse e nere,
piene e vuote) entrano indistintamente in ogni tipo di componimento e costituiscono
un elemento di continuità attraverso tutto il periodo di creazione. Il sistema
di base prevedere che i rapporti tra i valori non dipendano soltanto dalla
forma delle figure, ma anche dal segno che le sovrasta, segno che può variare
da una voce all’altra della composizione e/o da sezione a sezione della stessa
voce. In questo modo, escludendo l’equivalenza della M di origine francese,
le parti risultano già metricamente in conflitto. Ma, al di là della consueta
decifrazione della scrittura, occorre tener presente che la chiave di lettura
utile per l’una o l’altra delle composizioni, non è necessariamente valida
per tutti i brani dello stesso autore o di altri.
Inoltre sembra opportuno pensare che la complessità della scrittura richiedesse
espressamente da parte dello scriba la preventiva programmazione di ogni sua
componente, che si trattasse di agglomerati delle diverse colorazioni o di
calcolo dei singoli valori, ossia che fosse indispensabile la cautelare definizione
dei valori da assegnare a ciascun tipo di figura all’interno delle particolari
situazioni metriche e proporzionali al fine di avere, in ogni caso, il valore
esatto al posto giusto. In altre parole, nei giochi sottili e all’interno
di conflitti mensurali di ogni genere il lettore doveva essere in grado di
individuare ciò che l’autore intendeva tramandare e questo doveva avvenire
su un terreno privo di ambiguità. Una volta accettate queste condizioni, sembra
facile convincersi che le modifiche, quando necessarie fossero apportate direttamente
dal compositore; sembra anche evidente che le correzioni risultino per noi
più facilmente giustificabili se abbiamo preventivamente individuato le chiavi
di lettura di «quella» particolare composizione.
Matteo (ma non escludo i suoi contemporanei) sapeva perfettamente quale era
il risultato che intendeva ottenere e, nello stesso tempo, aveva presenti
le norme che lui stesso si era prefissato di seguire. A queste norme si atteneva
con un rigore tale da rifiutare, come vedremo, soluzioni alternative per le
quali fosse necessario l’uso di figure diverse da quelle preventivamente stabilite.
Nel caso in esame, ossia nella ballade Le greygnour bien,
l’effetto della sincopazione e le sottigliezze dei valori sono forniti unicamente
dall’accorto uso di figure nere e rosse, piene e vuote.
Numericamente limitate e di modesto rilievo sono le morfologie poco consuete,
certamente
meno estrose di altre utilizzate da Matteo per avviare sincopazioni con modelli
metrici più pungenti, per delineare veloci fioriture,10
o per rimpiazzare rapporti proporzionali:
I
rapporti tra una figura e l’altra sono stabiliti non soltanto dalla forma
delle figure stesse, ma anche dal segno di mensura che le sovrasta: in questa
composizione Cantus e Tenor si svolgono da cima a fondo in
(non indicato), mentre il Contratenor,
più complesso da questo punto di vista anche se ugualmente nella norma, passa
da
a –
–
–
–
–
, ponendosi pertanto in costante rapporto proporzionale
nei confronti delle altre due voci, dato che in questa composizione è negata
l’equivalenza della M, procedimento che secondo il principio francese permetteva
la sovrapposizione di mensure differenti senza che entrassero in competizione
fenomeni proporzionali.11
All’interno delle singole mensure dove le tre parti risultano metricamente
in contrasto, esiste poi una seconda relazione tra le figure (stabilmente
rispettata per la durata dell’intero componimento e inalterata in qualsiasi
rapporto proporzionale), una relazione che è definita e utilizzata attraverso
la loro differente coloratura.
In questa ballade, esemplificati con le S,
ci sono tre tipi di colorazione in rapporto fra loro:
1)
la S nera, che nella mensura binaria in cui si muovono dall’inizio alla
fine Cantus e Tenor, vale due M,
2)
la S rossa che perde un terzo del valore rispetto alla nera anche nella
mensura binaria e che pertanto apparirà in gruppi ternari che riempiono
la stessa battuta,
3)
la S nera vuota che invece nei confronti della nera piena aumenta di valore
e corrisponde a tre M,12
4)
le note rosse vuote che subiscono – in
– una doppia terzinatura:
la prima perché sono rosse, la seconda perché sono vuote,13
5)
la figura bicolore: ciascun colore deve essere valutato secondo la misura
che gli è propria.14
Date
queste norme di base, che costituiscono lo strumento di interpretazione per
la ballade in esame (ma non necessariamente per qualsiasi composizione di
Matteo o di altro autore), si possono ora esaminare le modalità del loro impiego
per giungere all’interpretazione delle correzioni apportate nel Contratenor
forse da Matteo stesso. La trascrizione del componimento non presenta grandi
difficoltà, ma qualsiasi edizione risente della necessità di racchiudere i
valori entro le moderne stanghette di battuta. Esigenza poco avvertita nella
parte di Tenor, la meno turbolenta dal punto di vista ritmico, dove l’assetto
delle battute non presenta sfasature, a parte qualche sporadico sconfinamento
del tipo che si può osservare alle bb. 50–52 dove il valore complessivo di
cinque M della B bicolore resta a cavallo della stanghetta.15
Anche
se la mensura è in dall’inizio
alla fine, la notazione del Cantus mostra una complessità già evidente nel
frazionamento dei valori e nel conseguente aumento del numero delle note;
questa evidente complessità richiede, ovviamente, la debita programmazione
di ogni componente della scrittura, che si tratti di agglomerati delle diverse
colorazioni o di calcolo dei singoli valori.16
L’illustrazione
dell’esempio risulta facilitata se si tengono presenti le regole date in precedenza:
le note rosse perdono un terzo del loro valore rispetto alle nere non solo
nella mensura ternaria, ma anche in quella binaria
e nella trascrizione moderna dovranno apparire in terzina.
Le nere conservano la natura binaria che è loro propria nel segno di
; tuttavia – poiché non sono
raggruppate fra loro in una formuletta ben distinta dai gruppi di rosse, ma
vi si trovano inserite in forma isolata – al momento della trascrizione saranno
coinvolte nella terzinatura generale. A causa di ciò, e perché il loro valore
non sia diminuito da questo procedimento (ossia perché una parte del loro
valore possa essere eliminata senza danno dall’effetto della terzinatura),
esse dovranno assumere un aspetto ternario. In altre parole: per evitare il
coinvolgimento delle note nere nella generale terzinatura e – di conseguenza
– per conservare la loro naturale binarietà si dovrebbero terzinare soltanto
le note rosse, ma il loro continuo alternarsi alle nere rende impossibile,
quanto meno a livello pratico, uno svolgimento in tal senso. Il chiarimento
che Apel (CMM
53/1, p. 99, bb. 13-14) pone al di sopra della sua versione in realtà non
riesce a dare l’idea della situazione e contraddice la sua trascrizione che
invece è assolutamente corretta.
Sistemati i valori, si può cominciare a osservare la sincopazione: secondo
i precetti teorici:17
se in una misura binaria uno e due elementi di piccolo valore cominciano la
sezione, il completamento della mensura deve essere posto alla fine dell’episodio;
il risultato finale deve dare un totale pari (o binario) nelle mensure binarie,
un totale dispari (o meglio ternario) nelle mensure ternarie.
Nell’esempio che stiamo esaminando le partes separatae
sono costituite all’inizio dalla pausa di M (che deve essere intesa rossa
come la nota successiva), e alla fine dalla M e dalle due Sm rosse. Le S nere
creano un gioco tutto loro inserendosi come piccole colonne tra le figure
rosse. I valori che stanno fra le partes
possono essere calcolati complessivamente oppure separatamente come li ho
predisposti nell’esempio per chiarire l’intreccio dei valori. Il totale è
di otto ternarietà che, tolto l’effetto della terzinatura, sono ridotte a
otto binarietà corrispondenti a quattro battute di 2/4.18
Anche la progressione ritmico-melodica che si trova alla fine della prima
riga del Cantus (note nere piene e vuote) può essere osservata come esempio
di sincopazione:19
Le
S nere conservano la loro binarietà e valgono, quindi, quanto due M dello
stesso colore; accanto a loro Sm nere (= ½ M) il cui valore deve essere calcolato
insieme a quello delle S. Tutto il materiale nero, esclusivamente binario,
corrisponde al valore complessivo di dodici M nere. Le M vuote devono avere
– per contrasto con quelle piene – un valore ternario; calcolate tutte insieme
danno un valore pari a sei M nere. Ed ecco il gioco della sincopazione: si
estrapolano i pilastri rappresentati dalle M vuote e si indicano poi le
partes relative alle note nere.
Un gioco ancora più sottile – ossia una doppia sincopazione – si osserva alle
bb. 43–49 del Cantus (corrispondente alla sezione che incomincia con l’ultima
ligatura della seconda riga), dove gli elementi che costituiscono le
partes separatae risultano dissociati
nella colorazione:
Mentre
le figure binarie si accordano facilmente fra loro, le note bianche (in questo
caso M e Sm) trovano invece il loro completamento nella Sm nera che chiude
l’episodio, secondo un procedimento che prende il nome di ‘coloratura sincopata
incompleta’.20
Il fenomeno avviene appunto quando le partes
soggette al color non si integrano
fra loro, ma trovano la loro perfezione accostandosi a una differente colorazione:
nel nostro caso l’episodio in note vuote trova la parte separata più conveniente
in una Sm nera, dato che una Sm bianca avrebbe un valore superiore al dovuto
(come appare evidente osservando la battuta 49 dell’edizione citata).21
Di fronte a certe situazioni si può essere tentati di risolvere i casi complessi
restringendo o allargando i valori come può sembrare più opportuno: è quanto
accade all’altezza delle bb. 83–84 delle edizioni, all’interno del frammento
che si propone come esempio:
Come
abbiamo già osservato, quando la M nera è posta fra le rosse resta sottoposta
– per esigenze redazionali – alla generale terzinatura e deve, pertanto essere
scritta a valori aumentati. Non per questo, tuttavia, si è autorizzati a diminuire
il valore della S rossa che la precede, la quale perde già la sua parte di
valore nella stessa terzinatura. La soluzione data dai due editori semplifica
le cose nel senso che si può chiudere subito la battuta 84 senza ulteriori
sconfinamenti, ma certamente questo modo di procedere può sollevare qualche
perplessità.
Una trascrizione alternativa
potrebbe essere la seguente
Si
è rilevato nel precedente esempio 8 che S e M rosse vuote del Cantus – che
è in – subiscono nella
trascrizione una ulteriore terzinatura rispetto alle rosse piene; nel frammento
corrispondente alle bb. 59–62 le rosse vuote e piene creano una momentanea
proportio dupla sesquiquarta (9:4)
a livello di M rispetto al Contratenor sottostante che corre in una mensura
binaria corrispondente al nostro 2/4.
Nella trascrizione con stanghette di battuta le rosse piene non possono essere
estrapolate dalla doppia terzinatura; si dovrà quindi predisporre per loro
un valore aumentato perché non siano danneggiate dalla doppia terzina.
Come
ho già fatto osservare, la notazione del Contratenor – contrariamente a quella
di Cantus e Tenor – passa sotto diversi segni di mensura; oscilla infatti
fra (creando così la sesquialtera
a livello di M con il
di Cantus e Tenor),
, da intendersi come
ma in diminutio22
e ,
dove dà origine a un rapporto di sesquialtera
di S con di Cantus e Tenor.
In , ovviamente, la S nera
è perfetta, le M nere vuote, che appaiono soltanto in coppia, hanno la stessa
funzione di due Dr, mentre il dragma caudato a sinistra vale, come nella mensura
binaria, una M e mezza; in
(che
indica, come abbiamo detto,
con diminutio) questo stesso valore
è indicato dalla S nera con punctus augmentationis.
Come in qualsiasi altra mensura le ligature bicolori conservano i valori indicati
dalle rispettive colorazioni.
Gli interventi emendativi
Tutti
i preliminari esposti fino a questo momento sono necessari per comprendere
e valutare le revisioni operate forse dallo stesso Matteo in più sezioni del
Contratenor: le modifiche, che hanno – come accade di consueto – una logica
giustificazione, stanno a dimostrare ancora una volta la coerenza nell’uso
dei diversi simboli all’interno della singola composizione. Di natura differente,
entrambe le revisioni si prestano alla formulazione di ipotesi che possono
essere sostenute in accordo e sulla base dei procedimenti notazionali fin
qui esaminati.
Primo
intervento
All’inizio dell’ultima riga del Ct (c. 31v)
e dopo alcune note nere, si vede un gruppo di M e Sm vuote con i bordi arrossati:
il fatto che il copista (o lo stesso Matteo) ripassi con inchiostro rosso
i bordi di queste M vuote, in un primo tempo scritti con inchiostro nero,
indica una precisa volontà di emendamento. La correzione è, infatti, opportuna:
le M e Sm nere vuote, avrebbero avuto – per contrasto con le piene – valore
ternario.
Di conseguenza il gruppo
che nella trascrizione risulta
come
se pensato in note nere vuote
avrebbe avuto questo aspetto
così
che il valore delle figure non avrebbe potuto corrispondere a quello delle
solite sei M nere di
in rapporto di sesquialtera nei confronti
della battuta in di Cantus
e Tenor. Soltanto con l’arrossamento dei bordi delle note vuote – colorazione
che richiede per la mensura in atto ()
una sola terzinatura – si può raggiungere, nella trascrizione, la dovuta compressione
dei valori entro i confini della battuta.23
Secondo
intervento
La rettifica è, come si è detto, opportuna non meno di quella più vistosa
segnalata da Anne Stone24
in corrispondenza della prima sezione di
dello stesso Contratenor,
dove B, S e M (bb 21–25) devono essere lette nella mensura binaria del
tempus imperfectum diminutum, ossia in
con dimezzamento dei valori
(il frammento è facilmente individuabile per il modulo decisamente più grande
e un tracciato meno elegante di note e di gambe).
Il ritmo che l’autore si
prefigge di ottenere è il seguente:
Secondo Anne Stone in origine
il frammento era scritto come segue:25
L’ipotesi
non è facilmente sostenibile se si ritiene che Matteo si attenesse alle regole
da lui stesso prefissate, e cioè che M e Sm nere vuote dovessero avere, nei
confronti delle piene, valore amplificato. Sembra piuttosto che, se l’originale
comprendeva, oltre ai due dragmata caudati a sinistra, anche M e Sm (e qualche
piccola gamba in trasparenza dopo la rasura potrebbe confermare questo dato),
tutte queste note fossero piene e non vuote. Inoltre è evidente in questo
caso che il frammento doveva essere preceduto da
, poiché solo in quel modo era
possibile ottenere il ritmo che risulta nella trascrizione (es. 16a).26
Se questa ipotesi è ragionevole, resta da chiedersi perché Matteo (o lo scriba
per lui) abbia voluto cancellare una versione che a ragione sembra in linea
con i risultati desiderati per sostituirla con una versione differente che
pure porta alla medesima soluzione. Se, come è noto, qualsiasi intervento
ha uno scopo preciso, in questo caso la giustificazione più semplice, la prima
che può venire in mente è questa: Matteo riserva al Contratenor una serie
di cambiamenti di mensura e lascia il segno
a Cantus e Tenor; se avesse
conservato questo simbolo anche alla sezione che si presume originale (es.
16c) da una parte avrebbe utilizzato per il Contratenor un segno già ampiamente
usato nelle altre due voci e dall’altra non avrebbe trovato il modo di impiegare
il
che – solitamente come espressione di sesquitertia,
ma qui con valore di tempus imperfectum diminutum
– fa la sua apparizione in mezzo agli altri segni di mensura.
z
In
sostanza, non lascia le note che si accordano con
perché è coerente: ha deciso
che il Contratenor deve essere costantemente in rapporto proporzionale con
le altre due voci, e questo segno di mensura non gli consentirebbe di arrivare
alla fine della sua composizione in conformità a quanto ha stabilito. Di qui
la necessità di cambiare le figure piene in modo tale da ottenere una sezione
a valori raddoppiati, che, per effetto del segno loro preposto, potessero
dare la soluzione ritmica desiderata.
Questa è, ovviamente, soltanto una delle ipotesi che si possono avanzare a
questo proposito: altre e forse più interessanti possono essere formulate
sulla base di complessi rapporti proporzionali cumulativi, ma francamente
questi non mi sembrano in linea con il pensiero di Matteo e con il suo grado
di assimilazione dei caratteri dell’ars subtilior.
Per
concludere: sulla base di considerazioni stilistiche – stando alle quali da
uno stile molto complesso Matteo sarebbe passato successivamente a uno stile
notevolmente più semplice – Apel stabiliva che Le greygnour
bien è la composizione più antica. Ora, pur ammettendo
che le poche composizioni di Matteo presenti nei fascicoli centrali del manoscritto
precedano nel tempo quelle dei fascicoli esterni, si può dimostrare che una
vera e propria frattura fra i due stili è evidente soltanto nei casi estremi,
ponendo a confronto, cioè, Le greygnour bien
con la ballade Pres du soloil,
scritta a note nere e bianche su rasura nel secondo fascicolo (c. 16).27
Dal raffronto
affiorano le componenti che definiscono i due differenti orientamenti: concentrazione
di proporzioni e di mensure diverse nel primo caso, piana disposizione di
una linea melodica su ‘armonie’ semplicemente disposte nel secondo. Se poi
prendiamo in considerazione altri suoi componimenti dalle connotazioni stilistiche
meno evidenziate, possiamo osservare i numerosi elementi che provvedono –
occultando ciò che permette l’individuazione di divergenze stilistiche – a
garantire invece una linea di continuità attraverso tutta la sua produzione.28
Tutto questo ci porta a riconoscere che per Matteo – stante una delle affinità
che lo legano agli autori della stessa area cronologica – esiste la possibilità
di un contemporaneo svolgimento nell’una o nell’altra direzione.29
Quanto alle altre analogie che coinvolgono i compositori – diversità di tipi
notazionali e di significati metrici per le stesse note, uso di figure e raggruppamenti
‘speciali’, modelli di sincopazione e di rapporti proporzionali –, esse non
sono mai disgiunte dalla ricerca di una differenziazione che garantisca, nella
misura consentita dal grado di adeguamento agli imperativi
subtiliores e della loro compenetrazione con
substrati locali, una personale e originale interpretazione degli stessi canoni.
Su un piano diverso, è forse utile osservare che la ricerca di uno stile diverso
(contemporaneo o successivo che sia a quello dell’Ars
subtilior), la ricerca, cioè, di uno stile più lineare
deve essere stata per qualsiasi autore più faticosa di quanto si pensi e che
prima di arrivare a risultati apprezzabili dal punto di vista melodico – visto
che in quello metrico si esaurivano tutte le possibilità – ci sia stata, non
necessariamente in modo uguale per tutti, una fase di transizione o di adeguamento
alla nuova corrente.
Ma forse la componente più vistosa che lega Matteo ai suoi contemporanei è
la coerenza nell’uso dei vari procedimenti,30
scelti e adottati all’interno del componimento, quella coerenza che oggi ci
permette di ipotizzare, in presenza di errori o di lacune, un certo tipo di
versione piuttosto che un altro.31
Quanto alla notazione di Le greygnour bien:
è veramente la più complessa fra quelle usate da Matteo? O anche in questo
caso si tratta semplicemente di cogliere il valore dei vari accostamenti e
di individuare il significato delle colorazioni? Si può affermare, dopo questi
preliminari, che gli esiti siano davvero inattesi?32
Sappiamo che la notazione è un mezzo attraverso il quale la creazione trova
la sua forma scritta: più sottili si fanno le esigenze del compositore, più
complicata diviene la scrittura; ma sappiamo anche che la notazione (anche
e soprattutto ‘quella’) deve offrire tutte le informazioni utili per evitare
fraintendimenti, e che nessuna sottigliezza può aver luogo senza la precisione
assoluta dei segni che la devono indicare.33
Pertanto il nostro lavoro, come si è cercato di dimostrare, si limita al rispetto
per questi segni e alla loro delicata decifrazione, rimanendo all’ombra delle
regole che lo stesso compositore ci rivela attraverso i suoi procedimenti.
APPENDICE
1
Facsimile di
Le greygnour bien
|
*
In
una versione lievemente diversa, questo contributo è stato l’argomento di
una relazione per il
Seminario di Filologia
Musicale
tenutosi in Cremona (Scuola di Paleografia e Filologia Musicale, Dipartimento
di Scienze Musicologiche e Paleografico-Filologiche) nei giorni 26-28 ottobre
1999.
Abbreviazioni usate:
B=breve
S=semibreve
M=minima
Sm= semiminima
Dr= dragma
1
Di
questa composizione esistono tre edizioni: WILLI
APEL
in French Secular Music of the Late Fourteenth-Century,
Mediæval Academy of America, Cambridge (Mass) 1950, pp. 1*–3*; Id.,
French Secular Compositions of the Fourteenth Century,
vol. I: Ascribed Compositions, American
Institute of Musicology, s.l. 1970, pp. 98–101 (Corpus Mensurabilis Musicae
53/1; senza innovazioni rispetto all’edizione precedente); GORDON
K. GREENE,
French Secular Music Ballades and Canons,
L’Oiseau-Lyre, Monaco 1982, pp. 60–64 (Polyphonic Music of the Fourteenth
Century 20, che copia da Apel). Sul manoscritto e sulla notazione si veda
ANNE
STONE,Writing
Rhythm in Late Medieval Italy: Notation and Musical Style in Manuscript Modena,
Biblioteca Estense, .M.5.24,
PhD Diss., Harvard University, Cambridge (Mass.) 1994; sulla compilazione
del manoscritto e sulle composizioni di autori italiani che hanno assimilato
lo stile dell’ars subtilior è consultabile
CARLA
VIVARELLI,
L’Ars subtilior in Italia: le composizioni francesi di
Filippotto e Antonello da Caserta nel codice Estense
.M.5.24,
tesi di Diploma in Paleografia e Filologia Musicale, Università degli studi
di Pavia, Scuola di Paleografia e Filologia Musicale di Cremona, a.a. 1998–99.
2
CLAUDIO
SARTORI,
Matteo da Perugia e Bertrand Feragut: i due primi Maestri
di Cappella del Duomo di Milano, «Acta Musicologica»,
XXVIII,
1956, pp.12–27.
3
REINHARD
STROHM,
Filippotto da Caserta, ovvero i francesi in Lombardia,
in In cantu et sermone: per Nino Pirrotta nel suo 80°
compleanno, a cura di Fabrizio Della Seta e Franco Piperno,
Olschki, Firenze, 1989, pp. 65–74. In particolare con Giangaleazzo l’ars
subtilior figurava fra gli interessi musicali coltivati
presso la corte francofila dei Visconti.
4
STONE,
Writing Rhythm in Late Medieval Italy.
5
NINO
PIRROTTA,
Il codice Estense Lat. 568 e la musica francese in Italia
al principio del ‘400, «Atti della reale Accademia di
Scienze e Arti di Palermo», serie
IV,
vol.
V,
parte
II
(1944–54), Palermo 1946. Tesi accolta da altri studiosi, fra i quali Ursula
Günther, ma negata da Stone per l’assenza nel quarto fascicolo (che comprende
in prevalenza i brani riferiti a Giovanni
XXIII)
di composizioni di Antonio Zacara da Teramo, allora membro della cappella
musicale del medesimo papa. La soluzione di Suzanne Clercx che propone per
la redazione dei fascicoli centrali la cappella avignonese di Clemente
VII,
non ha avuto molto seguito. Ora, comunque, si tende a identificare il centro
di realizzazione del codice con Pavia per il collegamento immediato con la
corte viscontea e, quindi, con una serie di autori francesi e italiani. Per
una visione generale del problema rimando il lettore a VIVARELLI,
L’ars subtilior, in particolare alle
pp. 11-31. Vivarelli considera la città di Pavia un importante centro di sviluppo
e di diffusione dell’ars subtilior, grazie anche alla presenza dell’Università,
forse la prima in Italia ad accogliere il nuovo insegnamento di musica, «attento
alle più recenti riflessioni filosofico-scientifiche sul concetto di tempo
e proporzione» (p. 15).
6
Con la composizione Veri almi pastores musicale collegium,
come ricorda PIRROTTA,
Il codice Estense, p. 40.
7
Si veda in Appendice la nuova lettura del testo offerta da Francesco Filippo
Minetti, che ringrazio vivamente. La versione offerta dalle edizioni citate
in nota 1 appare indebitamente emendata.
8
Si vedano i differenti valori assegnati da Matteo alla S caudata con occhiello
a sinistra (per i quali rimando
il lettore al mio Gli stili di Matteo da Perugia: procedimenti
notazionali e compositivi del repertorio profano contenuto nel codice
.M.5.24 della Biblioteca
Estense di Modena, Atti del Convegno «Fin-de-siécle»:
music traditions coming to an end, Novacella, 3–9 agosto
1998, in corso di stampa). Figura ambigua come la semibreve caudata di cui
parla l’Anonimo
III
del Coussemaker
III,
che, a seconda della sua collocazione, ha valore variabile da 6 M a 2 M.
9
Uno dei casi più interessanti a questo proposito potrebbe essere fornito da
Or voit tout en aventure di Guido
(contenuto nel codice Chantilly, Musée Condé 564, c. 25v, trascritto in URSULA
GÜNTHER,
Das Ende der Ars Nova, «Die Musikforschung»,
xvi/2, 1963, pp. 105–121: 117–120; in APEL,
French Secular Composition, n. 39
e in GORDON
K. GREENE,
French Secular Music. Manuscript Chantilly Musée Condé
564. First Part: Nos 1–50 , L’Oiseau-Lyre, Monaco 1981,
n. 28 (Polyphonic Music of the Fourteenth Century, 18). In questa composizione,
dove le note vuote valgono un terzo meno delle piene, dove il comune Dr e
la S caudata valgono, rispettivamente, come una M e come quattro M, il nostro
moderno sedicesimo è espresso con tre figure differenti:
,
, e
. Il fatto apparentemente inspiegabile
che tre diversi simboli siano chiamati a esprimere uno stesso valore all’interno
della medesima composizione potrebbe essere interpretato come segue: nel primo
caso le Sm, con significato pienamente ‘legittimo’ e sempre in coppia, hanno
il compito di portare sia all’imperfectio
della B, sia al completamento della mensura di
. Nel secondo caso il Dr doppiamente
caudato è chiamato in causa sempre ed esclusivamente in gruppi senari. Nel
terzo caso il segno è sempre
alternato al Dr, in modo tale da offrire, nella trascrizione, una sorta di
appoggiatura ritmico-melodica
. Ora, come si è detto, il
secondo e il terzo simbolo valgono quanto il primo e non servono per scatenare
conflitti proporzionali, né per avviare movimenti di sincopazioni, poiché
su un Tenor di piana fattura si stendono un Cantus e un Contra che si imitano
tra loro in moduli ritmici limitati allo spazio di una battuta di
6/8. Per trovare una giustificazione all’uso
delle tre diverse morfologie si dovranno, quindi, tenere presenti i differenti
compiti ai quali esse sono destinate. I ruoli sono infatti diversi, da semplice
‘riempitivo’ nel primo caso, a probabile suggerimento di suddivisione ternaria
del gruppo senario nel secondo caso (),
suddivisione che non si scorgeva nella trascrizione di Günther, ma che è evidente
nelle edizioni di Apel e di Greene e che ben si adatta all’ictus
stabilito dalle ‘appoggiature’ rilevate nell’ultimo dei
segni osservati. Seguendo gli imperativi dell’Ars subtilior
si usano forme differenti per raggiungere il medesimo effetto, oppure – a
seconda dei contesti – si attribuiscono più significati alla stessa figura:
modelli più frequenti di quanto si pensi e che si possono osservare, per rimanere
in area italiana, anche in Lorenzo da Firenze (Ita se
n’era star, dove per ottenere il valore di
si usano o
), e – in senso contrario – in
Paolo (Nell’ora ch’a segar la bionda spiga,
dove si prevede l’uso della medesima Sm sia per avere il valore di
, se usata in coppie, sia
per completare una combinazione ritmica insieme a
, come
, sia per dare una veste
ternaria a sei normali Sm
,
soluzione che si accosta, per gli effetti se non per la forma delle figure,
a quella di Guido).
10
L’estrema precisione delle grafie con le quali sono segnalati i valori dei
movimenti ornamentali esclude che questi fossero lasciati all’improvvisazione.
11
In qualche caso – vedi il virelai di Matteo Dame que j’aym
– è possibile osservare l’equivalenza della M e contemporaneamente la sua
negazione: su Tenor e Contratenor stabilmente in
si alternano nella voce più
acuta sezioni in , dove l’equivalenza
della M appare in tutta la sua evidenza, e sezioni in
dove essa è invece annullata
dalla presenza della proportio sesquialtera.
12
In altri casi – vedi la ballade Puisque la mort
attribuita a Matteo – il valore delle note vuote varia con
il variare della mensura, così che esso risulta sempre in contrapposizione
con quello delle figure piene.
13
Le M rosse vuote sono in rapporto di sesquialtera
rispetto alle M rosse piene (= 9 contro 6): queste, a loro volta, sono ancora
in rapporto di sesquialtera rispetto
alle nere piene (= 6 contro 4): quindi il rapporto fra le M rosse vuote e
le M nere piene è di 9:4, ossia di dupla sesquiquarta.
14
Il gioco basato sulla colorazione delle figure è fra i più coltivati nell’ars
subtilior e può assumere caratteri diversi, come potrebbero
facilmente dimostrare le opere di autori dalla differente formazione.
15
La soluzione qui proposta è lievemente differente da quella di Apel e più
rispettosa del valore delle singole parti della figura; tuttavia, dal punto
di vista pratico-esecutivo il risultato è lo stesso.
16
Per evidenziare questo procedimento e quelli successivi nella trascrizione
elimino la suddivisione in battute moderne.
17
Dalle prime definizioni di PHILIPPE
DE
VITRY
(Ars perfecta in musica, in CHARLES-EDMOND
DE
COUSSEMAKER,
Scriptorum de musica medii aevi nova series a Gerbertina
altera, Durand, Paris 1864–76 [rist. anast. Olms, Hildesheim
1962: d’ora innanzi
CS]
vol.
III,
p. 34) e JOHANNES
DE
MURIS
(Libellus cantus mensurabilis,
CS,
vol.
III,
p. 56, alla spiegazione dell’Anonimo autore di un Tractatus
tertius contenuto nel manoscritto di Berkeley (datato
1375: The Berkeley Manuscript. A new critical text and
translation, ed. by Oliver B. Ellsworth,
Greek and Latin Music Theory, University of
Nebraska Press, Lincoln – London 1984), alle elaborazioni dell’Anonimo v (Ars
cantus mensurabilis,
CS,
vol.
III,
p. 391) che apportano nuove norme per l’uso del procedimento. Presente nella
pratica notazionale, ma non definita con chiarezza nella trattazione teorica
è la situazione in cui le partes
risultano costituite da tre o più elementi disgiunti l’uno dall’altro.
18
Il numero indicativo delle battute è quello che si osserva nella seconda edizione
di Apel (CMM 53/1).
19
Una progressione con l’uso di note nere piene e vuote è visibile anche nel
rondeau Trover ne puis, Cantus, bb.
6–7, ma in quel caso l’andamento ritmico-melodico è decisamente più levigato
e più prevedibile. (Si veda l’es. 19 nel mio Gli stili
di Matteo da Perugia).
20
Prendo la definizione da WILLI
APEL,
The Notation of Polyphonic Music 900–1600,
The Medieval Academy of America, Cambridge (Mass.), 1953, trad. it.
La notazione della musica polifonica dal
X
al
XVII
secolo, a cura di Piero Neonato, Sansoni, Firenze 1984,
pp. 456–7. Segnalazione di casi più complessi in VIVARELLI,
L’Ars subtilior in Italia, cap. 2.3,
«Il ‘color’ sincopato», pp. 51–8.
L’espediente
ha impiego diverso a seconda degli autori: Filippotto da Caserta fa uso frequente
di ‘color sincopato completo’ (nel quale le partes
si combinano fra loro secondo la colorazione), mentre Antonello, che forse
lo ritiene superato, preferisce la ‘coloratura sincopata incompleta’, sebbene
non disdegni di rivolgersi occasionalmente alla pratica precedente, come dimostra
in Dame d’onour en qui tout, dove
sono coinvolte entrambe le colorature. (Cfr. VIVARELLI,
L’Ars subtilior in Italia, pp. 54–55.
La trascrizione di Vivarelli si trova ibidem,
Appendice, pp. 156–159, mentre il frammento in notazione originale, corrispondente
alle bb. 49–59, ibidem, p. 57,
es. 6).
21
Nell’esempio si danno due soluzioni alternative per meglio osservare i movimenti
della sincopazione.
22
Nella sezione corretta dall’autore stesso o da chi per lui. Solitamente
vale per
sesquitertia anche nelle opere di Matteo.
23
Una terzinatura ulteriore, come si vede nelle edizioni, mi sembra eccessiva,
dato che in esiste già il
primo rapporto di sesquialtera nei
confronti di .
24
Secondo STONE
(Writing Rhythm, pp. 29–35), l’attività
editoriale di Matteo si svolgerebbe nei seguenti casi: 1) il cambiamento degli
ultimi segni nella composizione rimasta incompiuta a c. 47 del codice; 2)
la correzione nel Contratenor di cui si parla, in queste pagine, a proposito
del «Secondo intervento»; 3) la creazione di Contratenores per altri autori;
4) la rasura del mottetto Gratiosus
(c. 16) e la conseguente stesura della ballade Pres du
soloil al suo posto, e 5) le correzioni nel Contratenor
del Gloria di c. 23.
Non
mi sembra invece segnalata la correzione di cui si parla, qui, nel «Primo
intervento».
25
STONE,
Writing Rhythm, p. 111 e sgg. In
effetti sono ancora visibili in trasparenza diverse gambe di M e di Sm.
26
Per la verità un ritmo simile a questo si otteneva anche con una serie di
dragmata e semidragmata,
ma questo avveniva soltanto quando in una delle parti entrava in funzione
una subsesquialtera da rapportare
alla prolatio maior delle altre parti.
Ma non è certamente il nostro caso.
27
Oppure con il Rondeau Pour Dieu vous pri
che apre, con la stessa notazione, il quinto fascicolo. È da escludere, tuttavia,
che il tipo di notazione possa interferire sempre o in modo decisivo sullo
stile di una composizione, ma si dovrebbe comunque ricordare che, come è noto,
proprio nelle ballades si manifesta la maggior difformità stilistica fra composizioni
‘semplici’ e altre basate sulle novità ritmiche dell’ars
subtilior.
28
Per osservazioni pertinenti a questo tema rimando il lettore al mio
Gli stili di Matteo da Perugia citato
in nota 8.
29
L’intento di adeguare a testi ricercati scritture sofisticate è abbastanza
diffuso, tuttavia non si vede l’uso esclusivo di grafie complesse per raggiungere
risultati che si possono ottenere anche con mezzi relativamente semplici.
30
Se si intende il periodo dell’Ars subtilior
come una fase di sperimentazione, di adozione di nuovi segni come espressione
di valori fin lì non contemplati, si può anche comprendere come ciascun autore
potesse elaborare personali formulazioni ritmiche che entravano a far parte,
con atteggiamento coerente, del suo linguaggio. Fenomeno che percorre le composizioni
di molti autori, non ultimi Filippotto e Antonello da Caserta, come dimostra
in modo convincente VIVARELLI,
L’Ars subtilior in Italia,. Un caso
totalmente a parte (ossia il fatto che segni diversi siano delegati a esprimere
il medesimo valore, come si è appurato a proposito delle composizioni che
ho citato in nota 9) potrebbe sembrare una eccezione alla regola, ma in realtà
è ancora una conferma stavolta offerta su piani diversi dato che l’autore
– come abbiamo ritenuto di poter rilevare – si attiene per tutta la durata
del componimento al rispetto di precetti, sia pure multiformi, da lui stesso
stabiliti. Non si dovrà, pertanto, ritenere che una particolare figura abbia
un valore assoluto, quanto piuttosto che quella stessa figura è chiamata a
rappresentare significati diversi, e – sull’opposto versante – dovremo osservare
con quali morfologie si potrà raggiungere il medesimo risultato. Nell’uno
e nell’altro caso a decidere il procedimento – al di là dell’ottemperanza
ai segni di mensura – sarà la collocazione della figura in questo o in quel
contesto. Va da sé che l’autore (o lo scriba) decide preventivamente l’uso
che vorrà fare dei segni a sua disposizione.
31
Oltre a queste e ad altre caratteristiche tecniche, Matteo sviluppa tutta
una serie di peculiarità di natura espressiva a carico della linea melodica,
dettate unicamente dall’eloquenza del testo, con un compiacimento che esclude
qualsiasi tentativo di suddivisione stilistica.
32
Nello studio precedente (Gli stili di Matteo da Perugia)
metto in evidenza che: 1) la notazione nera non porta a risultati di grande
rilievo e le sincopazioni sono brevi e non importanti; 2) nella privilegiata
nera e bianca le note vuote assumono il ruolo normalmente svolto dalle rosse,
ossia valgono un terzo meno delle nere siano esse ternarie o binarie, ma il
loro valore – che è comunque in contrasto con quello delle nere – dipende
anche dal tipo di mensura, così che esso può variare all’interno della stessa
composizione a seconda del segno mensurale; 3) nella notazione nera e rossa
sono comprese anche figure particolari delegate a esprimere rapporti proporzionali;
4) l’uso di figure e di raggruppamenti ‘speciali’ serve di volta in volta
per avere valori dimezzati (con mezze Sm vuote o mezze Sm piene), per introdurre
proporzioni, per iniziare una sincopazione o per renderla più complessa, per
rendere fioriture ricercate; 5) l’introduzione di figure isolate di colore
contrastante (rosse o nere vuote nella prolatio maior)
è spesso determinata dalla necessità di completare la battuta con un valore
binario soprattutto dopo una M alterata.
33
Di questo avviso è pure VIVARELLI
(L’Ars subtilior in Italia), secondo
la quale l’ermetismo non poteva essere lo scopo primario degli autori dato
che le loro creazioni dovevano essere destinate, come le altre, a eventi esecutivi.
34
M<atheus> de Perusio, Modena, Bibl. Estense, Ms.
.M.5.24 (olim lat. 568):
RISM
B IV4
II,
p. 968, n° 61: «unicus»; assente da G. Raynauds Bibliographie
des Alfranzösisches Liedes, neu bearbeitet und ergänzt
von Hans Spanke, Brill, Leiden 1980; non altrimenti che Ulrich Mölk – Friederich
Wolfzettel, Répertoire métrique de la poésie lyrique française
des origins à 1350, Fink, München 1972 ignorano il presente
(tutto eptasillabico femminile, inclusa D composta). Schema metrico ABBA,
ABBA; CDCD, CC (anzi... CDC, DCC; non ignoto al sonetto italiano già duecentesco).
35
Su houme (qui con fortuita metatesi
grafica della h),
oume (regionale diffuso; introdottosi, in
epoca medievale, anche a Parigi; «soit que la fermeture de
o ait été plus précoce qu’en francien, soit
que la nasalisation soit survenue plus tard»), vedi PIERRE
FOUCHÉ,
Phonetique historique du français,
Klincksieck, Paris 1958, vol.
II,
pp. 360–361.
36
<A(P)U(D) senza – Hoque: cfr. ancora FOUCHÉ,
Phonetique historique, vol.
II,
pp. 659-60. In Altfranzösisches Wörterbuch,
Adolf Tobler nachgelassen Materialien, bearbeitet und hrsg. von Erhard Lommatzsch,
Stein, Wiesbaden [= TL], vol.
VI
(1965), coll. 927.31, cfr., in particolare, «...richesce od mesestance».
37
Metatesi di per (/par)
= po(u)r,
con dittongazione ipercorretta.
38
<enfonder> = <afonder>.
39
«In Verbindung mit einem Objectsubstantivum», TL, vol.
X
(1976), col. 597.34–36: «Pai si tres soif...».
40
= aprent. Con quello delle consonanti
finali (7–8–10), comportante fenomeni di falsa restituzione ipercorretta (2)
e crisi della declinazione bicasuale, è notevole l’ammutimento della
e finale: 6, 10, 12, 13.
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