Gli abissi dell’oceano e le grandi
vastità marine hanno da sempre suscitato la fantasia più sfrenata degli
uomini; i grandi pesci, ma soprattutto gli enormi Cetacei, quali balene
e balenottere, capodogli e orche, narvali e delfini, hanno alimentato
fin dai tempi più antichi leggende e racconti immaginari di mostri di
grandezza inusitata, dotati di zanne e rostri micidiali, ricoperti da
spessi tegumenti crostosi, sbuffanti alte colonne d’acqua e di vapori.
I Cetacei sono noti fin dall’antichità classica: Aristotele stesso ne
parla, li distingue nella sua classificazione dai pesci e attribuisce
loro (ma a torto) la facoltà di respirare sia acqua sia aria. Il naturalista
romano Plinio il Vecchio, nella sua Storia Naturale, ricorda i cetacei
raccontandone particolari sorprendenti: “nel mare Indiano esistono molti
e grandissimi animali, tra cui balene di quattro jugeri”. La
misura è chiaramente esagerata, in quanto il più grande cetaceo vivente,
la balenottera azzurra, raggiunge al massimo i 30-33 metri di lunghezza,
circa un decimo delle dimensioni affermate da Plinio. Altre notizie
invece, come la respirazione polmonare dei cetacei, sono più verosimili,
anche se con particolari anatomici topograficamente poco corretti: “le
balene hanno la bocca nella fronte, e nuotando alla superficie delle
acque mandano verso l’alto come una grandissima pioggia. Né le balene,
né i delfini hanno branchie, ma alitano per due canali che vanno al
polmone: le balene dalla fronte , i delfini dalla schiena”. Una simbiosi
veramente fantastica è poi quella raccontata a proposito della balena
e del “topo marino” o musculus marinus: “un’associazione amichevole
è quella che esiste tra la balena e il musculus. Siccome la balena ha
gli occhi ostruiti dalla massa pesante delle sue sopracciglia, il musculus
le nuota davanti per avvertirla dei bassi fondali pericolosi per la
sua corpulenza e le serve quasi da organo della vista”. Attualmente
questa creatura leggendaria, amica dei cetacei, viene identificata (con
una certa cautela) con il famoso Pesce pilota, un pesce osseo della
famiglia dei Carangidi che ha l’abitudine di accompagnare i grandi animali
marini, squali e cetacei, accontentandosi di cibarsi degli avanzi dei
loro pasti subacquei. Con molta forza di immagine e una evidente propensione
al racconto sensazionale, Plinio ci parla di un altro cetaceo, l’orca,
“terrore dei grandi animali marini”. Secondo lo scrittore romano, l’orca,
pur essendo di mole minore, perseguita balene e balenottere, infliggendo
loro profonde ferite coi denti nel corpo, nel tentativo di divorarne
la lingua e le pinne: “Le orche fanno irruzione nei tranquilli rifugi
delle balene, dilaniano a colpi di denti i loro piccoli o le madri gravide
o che hanno appena partorito; slanciandosi a capofitto producono nel
loro corpo ampi squarci, come gli speroni delle navi liburniche all’attacco
[…]. Lo spettacolo di questa lotta è simile a quello del mare che infuria
contro se stesso; con calma di vento nel golfo, anche le onde, sollevate
dallo sbattere delle pinne, raggiungono altezze a cui non potrebbero
arrivare neanche sotto l’impeto di un ciclone”. Anche gli autori dei
“Bestiari” medievali, come l’anonimo detto “Physiologus”, non restano
immuni dall’emozione suscitata alla vista dei grandi e misteriosi mammiferi
marini, capodogli o balene che siano: “essa [=la balena] è di proporzioni
enormi, simile ad un’isola; ignorandolo, i naviganti legano ad essa
le loro navi come in un’isola e vi piantano le ancore e gli arpioni;
quindi vi accendono un fuoco sopra per cuocersi qualcosa; ma appena
percepisce il calore, la balena si immerge negli abissi marini e vi
trascina le navi e gli ignari marinai”. Migliore sorte capitò a un leggendario
monaco irlandese, San Brandano, che la tradizione dice abbia navigato
sette anni coi suoi confratelli alla ricerca del mitico paradiso perduto.
I monaci giunsero ad un’isoletta, in realtà un’enorme balena, scesero
dal battello e rimasero accampati per tutta la notte sul dorso dell’inoffensivo
cetaceo; alla mattina seguente vi fu celebrata perfino una bella funzione
religiosa, senza alcun pericolo per gli avventurosi monaci!
L’unicorno è un altro animale leggendario, spesso ricordato
e raffigurato nei codici medievali dei Bestiari e nei trattati naturalistici
cinque e seicenteschi (come quelli da Gesner ad Aldrovandi). Aveva l’aspetto
di un equino selvaggio e indomito, con un lungo corno ritorto a spirale
sulla fronte e zoccoli bifidi; pochissimi l’avevano visto vivo poiché
abitava le regioni più inospitali dell’India, dell’Arabia e dell’Etiopia.
Imperatori, re e ricchi ecclesiastici pagavano a peso
d’oro i suoi corni d’avorio; ne ricavavano boccali con miracolosi poteri
anti-veleno; gli speziali, poi, ne grattugiavano sottili fettine per
comporre medicinali infallibili e costosissimi. Solo a metà Seicento
si scoprì la vera natura del “corno” di unicorno: si trattava del dente
di un cetaceo, il Narvalo, diffuso nei mari settentrionali. Nel 1655,
infatti, lo studioso Olao Wormius pubblicava nel “Museum Wormianum”
una rozza figura dell’intero cetaceo e un disegno del cranio di narvalo
col famoso dente. Svelato il mistero della sua origine, in poco tempo
il “corno di unicorno” subì uno spettacolare ribasso di prezzo in tutte
le botteghe di spezierie d’Europa! A partire dalla fine del Seicento
e per tutti i secoli successivi, le esplorazioni geografiche, le osservazioni
dirette dei fenomeni e delle produzioni naturali e la grande diffusione
della stampa con illustrazioni più fedeli al vero contribuiscono a perfezionare
il vasto campo degli studi zoologici. Le scienze naturali vengono rese
più accessibili ad un pubblico vasto e desideroso di apprenderne i vari
aspetti, liberi da tradizioni favolose. Balene, capodogli e delfini,
arenatisi lungo le coste europee, non terrorizzano più gli abitanti
per le loro mostruose fattezze. La loro enorme mole, però, incuriosisce
gli uomini; molte stampe olandesi antiche mostrano folle di persone
(tra cui dame, cavalieri e bambini) venuti anche dalle città vicine,
attratte dall’evento insolito
dello spiaggiamento del cetaceo morto, e desiderose di poterlo esaminare
da vicino. Anche i pittori e i disegnatori, giunti sul posto, ne delineano
correttamente le forme e i particolari più salienti; i naturalisti cominciano
a studiare la morfologia dei cetacei misurandone le carcasse con accuratezza,
e ne ricuperano ossami, vertebre e denti o fanoni, per esporli nei loro
musei scientifici. Nei testi zoologici del Sette e Ottocento le rappresentazioni
di cetacei sono piuttosto accurate e le loro dimensioni sono in scala
con la figura umana. Scompaiono i fantastici mostri marini dal dorso
squamoso, dalle zanne arcuate e dalle pinne unghiute, che avevano popolato
le ingenue vignette degli antichi libri, o i margini miniati di mappe
e manoscritti medievali. Ora il corpo della balenottera e del capodoglio
è presentato disteso sopra un lido sabbioso; solo il ventre appare eccessivamente
rigonfio; il grande mammifero infatti è stato ritratto allorché gli
eventi putrefattivi sono già entrati in azione nel suo corpo e ne hanno
dilatato la pelle degli organi interni. Occorrerà attendere fino ai
nostri giorni per vedere resa giustizia alla morfologia dei cetacei
in vivo: la moderna fotografia e la cinematografia subacquea ci mostrano
esattamente come balene, delfini e capodogli siano creature perfettamente
adattate al loro ambiente, nonostante la ingente mole ; la loro sagoma
è affusolata e perfettamente idrodinamica, il che permette loro di compiere
insospettate ed agili evoluzioni nei loro spostamenti sottomarini. |