La caccia | di C. Rovati | Indietro | Indice | Avanti |
Le popolazioni nordiche, le cui abitudini
alimentari erano legate esclusivamente al mare, praticavano la caccia
alla balena già nel Neolitico, circa 6000 anni fa. Islandesi e Norvegesi,
intorno all’anno 1000, L’industria baleniera, come attività organizzata a
livello commerciale, fu avviata nel XII secolo dai Baschi che abitavano
nel Golfo di Biscaglia dove le balene franche andavano a riprodursi.
Furono loro ad utilizzare per primi una tecnica di caccia che verrà
poi universalmente adottata. Quando da terra avvistavano la preda, con
piccole imbarcazioni a remi si avvicinavano e lanciavano arpioni liberi
sullo stesso animale. L’intenso traffico commerciale dominato dai Baschi durò oltre tre secoli. Con la rarefazione delle balene franche nel Golfo di Biscaglia i Baschi si spinsero verso l’Atlantico nord orientale utilizzando navi adeguatamente attrezzate. Intorno alle coste del Labrador instaurarono intensi traffici commerciali con gli autoctoni e insegnarono, in particolare agli Eschimesi, l’arte della caccia. Nel 1600 i Baschi si diressero verso nuovi mari al largo della Groenlandia e della Finlandia inaugurando la caccia in mare aperto e inventando un procedimento per la lavorazione del grasso e della carne a bordo delle navi. Lasciarono definitivamente l’attività nel 1742 sia per le crisi politiche dei loro governisia per la concorrenza di Inghilterra e Olanda, che si imposero con le loro flotte raggiungendo alte vette nell’industria per la lavorazione delle balene. Tuttavia molti cacciatori baschi, per la loro abilità, erano richiesti su navi olandesi ed inglesi. A loro era riconosciuto il diritto di uccidere l’animale. I cetacei erano nel frattempo diventati indispensabili per la vita di molte popolazioni fornendo loro, oltre al cibo, olio per l’illuminazione, per le pitture e i lubrificanti, ma anche sapone e tanti altri oggetti derivati dalla lavorazione delle ossa.
Gli Olandesi lungo le coste dello Spitzbergen costruirono veri e propri insediamenti per la caccia e la lavorazione dei grossi animali. Numerosi villaggi furono costruiti in zone anche inospitali e, sebbene venissero abbandonati durante il periodo morto della caccia, alcuni di questi vedevano ogni stagione l’arrivo di migliaia di persone (anche 180.000 nel villaggio di Smeeremberg). La tecnica di caccia messa a punto dagli Olandesi era estremamente pericolosa. Con un arpione collegato alla chiglia da una lunga sagola, sei uomini, a bordo di una piccola scialuppa, colpivano la balena che, ferita e dolorante, trascinava con sè l’imbarcazione; esausto l’animale veniva finito. Se il cetaceo si immergeva e la cima non veniva mollata il battello colava a picco.
Nelle colonie inglesi d’America alla fine del XVII secolo la caccia alla balena divenne una vera e propria industria, ma la vera novità fu l’estensione della caccia anche al capodoglio. Nel 1712 infatti il capitano Christopher Hassey osò affrontare uno di questi cetacei, da sempre temuti per i loro forti denti e la loro natura di predatori. I capodogli divennero ben presto prede di un certo interesse perché se ne ricavava dell’olio molto più pregiato di quello di balena. Fornivano anche lo spermaceti, una sostanza grassa, liquida e biancastra, che si trova nella fronte e che solidifica a contatto con l’aria trasformandosi in un materiale ceroso utilizzato per fabbricare candele. Altro speciale prodotto dei capodogli è l’ambra grigia che si trova nel loro intestino. E’ una sostanza solida e grigiastra che deriva presumibilmente dalle ghiandole cutanee dei cefalopodi ingeriti e che trova ottimo impiego nella preparazione di preziosi profumi. L’attività americana dava lavoro a migliaia di marinai che imbarcati sulle baleniere solcavano mari ed oceani impegnati in lunghi e avventurosi viaggi. Impiegava anche molti uomini in attività collaterali (fabbriche di cordami, barili, arpioni ed attrezzature varie) collegate alla cattura e alla lavorazione dei cetacei, portando ricchezza e prestigio. Anche la scoperta del petrolio (1859) che ben presto sostituì l’olio di balena nell’illuminazione non fece cessare l’attività di caccia per la pressante richiesta di altri prodotti derivati. Con l’avanzamento delle tecnologie migliorò anche l’efficienza della caccia. I battelli a vela furono sostituiti da quelli a vapore e gli arpioni divennero sempre più micidiali. Nel 1864 fu infatti inventato dal norvegese Svend Foyn un cannone in grado di sparare fino a 50 metri di distanza un potente arpione esplosivo che toglieva ai cetacei ogni possibilità di scampo. Ciò permise l’estensione delle catture anche alle balenottere un tempo irraggiungibili perché molto veloci e irrecuperabili per la tendenza ad affondare una volta morte. Quest’ultimo problema fu risolto dallo stessa Foyn sparando aria compressa nel ventre della balenottera colpita. Con questa tecnica, mediante la sua baleniera a vapore l’inventore nel 1868 catturò, in una sola stagione, ben 30 balenottere azzurre. Alla fine dell’800 anche Giappone e Russia si dedicarono ampiamente all’industria baleniera. Nel XX secolo si fece palese il forte decremento delle popolazioni accompagnato dalla prosecuzione dello sterminio dovuto ancora una volta all’introduzione di nuove tecnologie quali il sonar utilizzato per la prima volta dai Giapponesi. Furono introdotte anche moderne navi-fattoria attrezzate per la lavorazione degli animali issati nella stiva mediante un piano inclinato all’imboccatura. Anche il mercato dei prodotti derivati dai cetacei registrò un nuovo impulso per l’aumentata richiesta di glicerina utilizzata per la fabbricazione di esplosivi in concomitanza dei due conflitti mondiali.
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