Influenze pucciniane nella canzone d’inizio secolo * | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
A Simonetta Bigongiari A partire dalle esposizioni universali di Parigi (1867, 1889, 1900) il gusto per l’elemento esotico si era fatto strada in Europa attraverso la letteratura,[1] l’arte figurativa[2] e la moda.[3] Anche il teatro in musica non fu estraneo a questi nuovi impulsi: mentre inizialmente la componente esotica fu impiegata con la sola prerogativa di dare ‘colore’ al dramma (si pensi a Lalla Roukh di David o a Il Guarany di Gomes), in seguito fu utilizzata per approfondire la trama musicale con l’inserimento di temi originali. Dopo La Princesse jaune (1872) di Saint-Saëns, (1893), The Mikado (1885) di Gilbert e Sullivan e Madame Chrysanthème (1893) di Messager, l’elemento esotico trova la sua consacrazione in Madama Butterfly di Puccini (1904). L’importanza che l’esotismo acquista nel dramma pucciniano è sostanziale, poiché non si tratta di un mero orpello esteriore che ‘colora’ una storia, bensì della motivazione stessa della trama, e viene impiegato per sottolineare la distanza culturale tra Est e Ovest, incarnata nel destino dei due protagonisti. Il contrasto tra Butterfly e Pinkerton, personaggi-simbolo di Oriente e Occidente, si può così eleggere a paradigma di un più generale conflitto tra due culture con formae mentis diverse.[4] L’opera pucciniana ha influenzato in vario modo, all’inizio del secolo scorso, la produzione delle canzoni, che può essere suddivisa in due grandi categorie: – la prima comprende cronologicamente canzoni degli anni 1925-1935, in cui il rapporto con Madama Butterfly consiste essenzialmente nella tipologia del personaggio femminile che, esotico come la protagonista dell’opera, viene abbandonato dal ‘bruno marinar’ occidentale. Alcuni esempi sono forniti da Fior di Shangai e Il Tango delle gheishe. – la seconda categoria, che dalla seconda metà degli anni Trenta arriva agli anni Cinquanta, presenta riferimenti espliciti all’opera pucciniana tramite citazioni musicali e chiari rimandi nel titolo o nel testo della canzone. Di questo gruppo fanno parte Tornerai, Piccola Butterfly e Poor Butterfly. Prima categoria: canzoni ‘esotiche’ La parola-chiave è ‘esotismo’, che viene collegato alle ‘imprese’ coloniali celebrando il sogno di luoghi lontani e immaginari «in un momento in cui non era possibile concretizzare il loro reale raggiungimento, chiara metafora di un colonialismo che fanfareggiava su conquiste più di facciata che di peso reale».[5] L’elemento esotico viene accostato all’immagine della donna, e, mentre la fantasia degli autori si spingeva verso i paesi più lontani, in realtà si notava la completa ignoranza degli stessi in materia di psicologia femminile e «fisicità geografiche».[6] Con il termine ‘esotismo’ si tendeva ad accomunare tutto quello che non era occidentale, senza fornire indicazioni più precise. Del dramma pucciniano rimane in questo gruppo l’elemento erotico inserito in una cornice ‘orientale’, laddove si azzera completamente il conflitto tra due culture. Mentre da un lato il fatto che la donna sia orientale ‘giustifica’ l’abbandono da parte dell’uomo occidentale, dall’altro il mito della donna orientale stimola in Occidente l’interesse erotico per il lontano e il diverso. L’immagine del sesso femminile che si ricava dai testi è fortemente stereotipata e imperniata su due poli contrapposti: da un lato la donna orientale, fedele, di stampo butterflyano ma non necessariamente giapponese (gli autori infatti guarderanno ben presto anche a Cina e India),[7] votata al sacrificio per l’amante europeo, e dall’altro la donna occidentale volubile e incostante, capricciosa e infedele. Mentre poi queste ultime sono descritte con proporzioni ‘normali’, al contrario la donna ‘esotica’ è indicata con un linguaggio ricco di vezzeggiativi, di aggettivi in -ina, -ino, più adatti a degli animaletti che a persone in carne e ossa. Lo scopo di queste due tipologie è quello di far sì che «il maschio italiano, riaffermata la sua arte conquistatoria mondiale, continui a sognare confusamente di supremazia e piacere (cose queste che si trovano fuori di casa)», per dirla con Paquito del Bosco.[8] L’immagine dell’Oriente che si ricava dai testi risulta assolutamente falsata, volgendosi chiaramente ai modelli dei feuilletons sentimentali, più che a ricerche etnografiche precise, per cui tutto risulta minimizzato, e ciò che emerge non è dissimile dalle figure di ventagli e paraventi già enunciate da Pinkerton;[9] ovunque domina soltanto un «esotismo sensuale e nostalgico […] che stravolge gente e luoghi».[10] I brani presi in esame, Fior di Shangai (Cherubini-Avitabile) e il Tango delle gheishe (Tortora-Lama),[11] sono accomunabili per struttura e tematica. In entrambi i casi si tratta di un plot articolato in strofa e ritornello.[12] Le strofe sono caratterizzate dall’andamento cinetico dello svolgersi dell’azione, mentre il ritornello, conformemente a una struttura che non è tipica soltanto del repertorio ‘esotico’, presenta un’espansione lirica, in cui si mettono in evidenza i propositi dei due protagonisti, l’uomo occidentale e la donna orientale, il cui fraintendimento porterà alla tragedia finale con la morte della donna. La scena è descritta attraverso un’ottica che, da un lato, mette in evidenza la superiorità occidentale in modo da «mettere al sicuro l’ascoltatore dal pericolo di aderire troppo intensamente alla narrazione»,[13] e dall’altro spalanca «l’immaginazione sui lontani mondi in dissoluzione pressati dalla civiltà occidentale e dal progresso materiale».[14]
Alcuni studiosi definiscono ‘poetico’ il linguaggio usato, ricco di «detriti dell’Ottocento»,[15] ovvero elementi linguistici tratti direttamente dal melodramma. A mio avviso è invece ancora più determinante l’identità di schemi metrici che vengono ‘esportati’ dall’opera per venire inglobati nella canzone.[16] Altri elementi portanti sono la rima baciata e alternata che, oltre a favorire un’immediata memorizzazione, forniscono una patina poetica alla composizione, e l’apocope, impiegata non solo per l’adattamento del testo a frasi musicali moderne (più brevi), ma anche per estensione a parole che normalmente in italiano non la prevedono. Caratteristiche di questi componimenti in musica sono l’imitabilità e la ripetibilità, sia linguistica che musicale. Il primo brano analizzato si presenta come una ‘summa’ di tutti gli stereotipi esotici linguistici e culturali dell’epoca. Già il titolo Tango delle gheishe fa riflettere. Il tango era giunto in Italia intorno al 1913 e si era diffuso da quando Enrico Pichetti ne fece accettare una versione ‘epurata’ in Vaticano, dando il via all’insegnamento di questo ballo nelle accademie e nelle scuole di danza.[17] Per sua natura quindi è un tipo di musica ‘esotica’ che richiama alla mente dell’ascoltatore immagini di mondi lontani che si sognano o si conoscono solo per sentito dire. Ben altra cosa però è vedere che cosa abbia a che fare il tango – con l’allusione a paesaggi sudamericani e in particolar modo argentini – con l’Oriente inteso come Giappone, patria delle gheishe della seconda parte del titolo. Il trait d’union è fornito dall’esotismo esasperato che va sempre più crescendo e stimolando l’interesse del pubblico nel periodo che intercorre tra la prima guerra mondiale e gli anni Trenta: esso include tanto il Giappone quanto l’Argentina, passando attraverso la Francia, che compare costantemente con i gallicismi tanto chic. La descrizione dell’ambiente esotico sul far della sera occupa un’intera strofa, e il ritornello, quasi musica di scena, mostra l’entrata delle Musmè. Le gheishe quindi ‘entrano in scena’ nella canzone esattamente come nell’opera Butterfly, la cui voce si ode in lontananza prima che il pubblico possa vederla. Tra le apocopi in fine verso si nota la presenza di un ulteriore esotismo: il francesismo bisquit,[18] che viene messo dal paroliere in una posizione di primo piano: al centro dei versi del ritornello e in posizione rimante (anche se non avrà corrispettivo) proprio per acquisire l’importanza di un unicum. Nel ritornello si precisa la funzione della donna orientale: le Musmè sono solo bambole e ninnoli; metricamente le uniche due parole sdrucciole che, insieme a piccoli dell’ultimo verso, ‘catturano’ l’attenzione uditiva dell’ascoltatore. Il concetto viene ribadito negli ultimi tre versi: la donna orientale è soltanto «il piccolo trastullo del piacer» e niente più all’occhio occidentale e, come tale, viene abbandonata. Seconda categoria: canzoni direttamente legate all’opera In questo secondo gruppo ho raccolto alcune canzoni che si ispirano direttamente all’opera pucciniana e sono ad essa collegate da espliciti richiami melodici e testuali. Nel primo caso – Tornerai di Olivieri-Rastelli del 1936 – è presente la citazione del ‘coro a bocca chiusa’ (II.1, 90) con cui si chiude la prima parte del ‘lungo secondo atto’ dell’opera.[19] Oltre alla citazione melodica anche la tematica presenta somiglianza con l’originale pucciniano: la nostalgia per l’amata lontana e la speranza in un ritorno che faccia risplendere i giorni e tornare la ‘perduta felicità’ sono di chiara ispirazione butterflyana.[20] Nel brano di Olivieri del conflitto tra Est e Ovest e della sostanza esotica dell’opera rimangono solo i ‘sospiri d’amor’ della protagonista.
In questo caso la ricezione dell’opera si fonda sul fenomeno amoroso fine a se stesso che diventa soggetto della canzone: l’amore come nostalgia dell’amata lontana non è espresso attraverso grandi passioni, ma come un sentimento ‘composto’ completamente stereotipato, non vengono più impiegati diversi registri vocali, come quello narrativo o sentimentale, ma un solo registro pacatamente melodico. Le rime diventano pure suggestioni sonore, eco di amori legittimi, sospirosi e delicati, che nel frattempo, con l’avvento dell’era fascista, hanno soppiantato amori adulterini e ‘peccaminosi’. L’elemento centrale della canzone è ormai diventato il puro atto del dire, un messaggio che si diffonde attraverso poche parole, un amore sussurrato, che parla solo di se stesso in un’ottica esclusivamente autoreferenziale.[21] Negli ultimi due brani è evidente già dal titolo il legame stretto con Madama Butterfly: Piccola Butterfly (Redi-Bertini, 1948)[22] e Poor Butterfly (Golden-Hubbell, 1954).
In Piccola Butterfly ritorna l’elemento ‘esotico’ che aveva caratterizzato le canzoni d’inizio secolo. Il testo è di tipo narrativo, come se fosse Pinkerton che rievoca i suoi giorni passati con Butterfly, e la voce, riecheggiando lo stile degli anni Trenta, è doppiata dal canto lamentoso del violino. Oltre all’elemento testuale un ulteriore riferimento al dramma pucciniano è fornito dalla presenza del «tema della maledizione», per impiegare le parole di Michele Girardi,[23] che riecheggia durante tutta la canzone per poi essere chiaramente udibile nella chiusa finale; ad esso si aggiungono altre allusioni ‘esotiche’ enfatizzate nell’organico dalla presenza del gong. Attraverso questa citazione musicale dell’opera sappiamo che, nonostante le parole affettuose della voce narrante, tutto rimarrà un’illusione e Pinkerton non tornerà mai dalla sua piccola orientale. L’ultimo esempio di questa breve carrellata sul mito-Butterfly nelle canzoni è dato da Poor Butterfly di Golden-Hubbell,[24] cantato dal complesso statunitense degli Hilltoppers nel 1954.[25] A differenza degli altri esempi portati sin qui rappresenta l’unico caso in cui è la protagonista, Butterfly, a prendere la parola. L’ambientazione è identica a quella dell’opera con tanto di ‘ciliegi in fiore’ e confluiscono nel testo i principali nodi drammaturgici dell’opera pucciniana: l’attesa («the moments pass into hours / the hours pass into years»), la sicurezza del ritorno di Pinkerton e la consapevolezza che se egli non dovesse ritornare l’unica possibilità per la protagonista è data dalla morte («I just must die»). Le parole di Butterfly sono intercalate dalla citazione del titolo, Poor Butterfly, che compare all’inizio e alla fine del brano conferendo un senso circolare alla canzone, e dando un giudizio sull’illusione della protagonista, che è convinta in un ritorno dell’amato che sappiamo non avverrà. Perde completamente importanza la componente esotica rispetto al dramma di una donna che non troverà mai la sublimazione dei propri sentimenti. Tramite il presente contributo, che è parte di un work in progress più ampio che si estende ad altre forme di spettacolo come il musical e l’operetta, si è cercato di dimostrare come la vita di un’opera non si concluda con la sua rappresentazione in teatro, ma come questa possa esprimersi ‘contaminando’ altre forme di comunicazione artistica. Le singole componenti che fanno di Madama Butterfly una delle opere ancora oggi più amate dal pubblico di tutto il mondo vengono recepite in maniera diversa nelle singole canzoni; se infatti l’elemento esotico nell’opera ha una funzione sostanziale per il dramma, nelle canzoni assume una valenza sempre diversa. Non tutta la ‘sostanza dell’opera’ si trasferisce nelle canzonette, ma singoli aspetti che prendono vita di volta in volta: tra questi sicuramente maggior attenzione spetta all’equazione esotismo=erotismo che è tanto radicata nella cultura occidentale da ‘giustificare’ l’abbandono della donna orientale proprio per sua stessa natura. Meno incisivo appare il conflitto tra Est e Ovest, al contrario di quanto avviene nell’opera, mentre viene messo in primo piano l’elemento dell’attesa e della speranza nel ritorno dell’amato. Fattore non secondario per il proliferare di molte canzonette nei primi cinquant’anni del secolo scorso,[26] è la nascita di molteplici produzioni cinematografiche negli anni Trenta, come Madame Butterfly di Gering (1932) e Il sogno di Butterfly di Carmine Gallone (1939) che sembrano segnare l’inizio di una Butterfly-renaissance, protrattasi fino ad oggi con nuove mises en scène (Asari, Wilson… e in campo di film-opera le pellicole di Ponnelle e Mittérand), musical (Miss Saigon) e film ispirati al soggetto pucciniano (M. Butterfly di Cronenberg, 1993).[27] Collegando attraverso un fil rouge l’originale pucciniano con le sfaccettate reinterpretazioni che ne sono seguite, si può cercar di ricostruire la storia di Madama Butterfly non solo nell’ambito del teatro in musica, ma anche come archetipo culturale sempre soggetto a nuove elaborazioni artistiche. | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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