Dopo la riforma voluta da Augusto, nell'esercito romano ci fu un medico per ogni coorte e due per quelle in prima linea. I medici dipendevano dal comandante della piazza e da un medico capo, che spesso era anche il medico personale dell'imperatore. L'assistenza ai feriti veniva prestata direttamente sul campo, ma i casi più gravi venivano ricoverati nel
valetudinarium in castris, sorta di ospedale da campo in cui trovavano impiego anche infermieri, massaggiatori ed inservienti.
È appena il caso di ricordare che la grande esperienza acquisita sui campi di battaglia nella cura di ferite e traumi e trasferita nelle
scholae mediche, risultava, in tal modo, a disposizione di tutti. È grazie quindi all'opera di rilevamento delle decine di medici militari sparsi attraverso l'Impero che la traumatologia acquisì un tale avanzamento cognitivo da essere considerata all'avanguardia per molti secoli.
Nell'epoca imperiale si affermarono anche i
valetudinaria civili, cioè ospedali o infermerie private, dove i patrizi erano soliti curare i propri famigliari e gli schiavi. Famose, all'epoca, le
medicatrinae13 adiacenti al tempio di Esculapio, sull'isola Tiberina, dove gli ammalati di ogni ceto sociale erano tenuti sotto la diretta osservazione di medici e dei loro discepoli.
Ma l'evento più importante dell'inizio del I secolo d.C. fu la creazione di vere e proprie "
scholae medicorum" (scuole di medicina), dove gli allievi, dapprima unicamente militari, ma poi, dal III secolo, anche civili, potevano imparare l'arte medica. Aveva così termine il periodo prettamente empirico della Medicina presso l'antica Roma: solo dei medici abilitati (non da un esame di idoneità, ma dal giudizio del maestro) potevano esercitare l'arte. La preparazione teorica era assicurata dalle
scholae mentre il tirocinio pratico, in cui si apprendevano i rudimenti della semeiotica, della clinica e della chirurgia, avveniva nei valetudinari e durante le visite private che il maestro faceva nelle case dei suoi clienti.
In tempi successivi, l'imperatore Vespasiano (9-79 d.C.) istituì uno stipendio per coloro che si dedicavano all'insegnamento, e l'imperatore Adriano (76-139 d.C.) anche un fondo pensioni. Lo stesso imperatore fece costruire un edificio (chiamato
Athenaeum14),
ludus ingenuarum artium quod Athenaeum vocant [palestra di arti liberali
15 che chiamano Ateneo], come lo definisce due secoli dopo lo storico romano
Sesto Aurelio Victor [
Storia dei Cesari, 14.3], destinato ad ospitare pubbliche lezioni, probabilmente anche di medicina. Un secolo dopo, sotto il regno di Alessandro Severo (222-235 d.C.), avviene la creazione della prima cattedra statale di medicina e l'istituzione, decisa dall'imperatore Flavio Giuliano (332-363 d.C.), di una sorta di "facoltà di medicina" con un percorso di studi, obbligo di frequenza ai corsi ed esami finali.
E proprio nel periodo di massimo splendore dell'Impero che si colloca la figura di
Claudio Galeno (129 - 199) [vedi Biografia in
I Grandi Maestri], ritenuto il più famoso e studiato medico dell'antichità, secondo solo al greco Ippocrate. Infatti le sue idee, documentate in una grande varietà e numerosità di scritti sia in greco che in latino (di cui a noi pervenuti solamente 108, grazie alle traduzioni latine ed in arabo), hanno condizionato la scienza medica fino al XVI secolo.
Galeno fu essenzialmente dedito all'arte della «medicina», della «patologia» e della «anatomia», interamente confinatovi, come ammette lui stesso (
De Method. Med. vi,20) dalle usanze del posto.
La « chirurgia», infatti, destò in lui, scarso interesse.
Per la verità, nei primi tempi della sua formazione di medico, a Pergamo, fu un chirurgo validissimo. La conquista romana aveva esportato nei territori dell'Impero anche le usanze tipiche di Roma e tra queste i ludi gladiatori e le arene. A Pergamo, in Asia Minore, ne esisteva, appunto, una delle più grandi, capace di circa 20.000 spettatori. Galeno fu chiamato nel 157 a ricoprire l'incarico di chirurgo della locale arena, un incarico importante e di grande responsabilità, se si pensa che, a quei tempi, i gladiatori (di solito schiavi addestrati al combattimento personale con varie armi) rappresentavano un vero investimento per i loro padroni. E il lavoro non dovette mancargli di sicuro, tenuto conto che anche i gladiatori risultati "vincitori" al duello risultavano coperti di ferite, spesso anche profonde o gravisssime. Si dimostrò molto abile (e fortunato), poiché durante i quattro anni del suo mandato (nel 161 si trasferì a Roma) non si potè annoverare alcun decesso tra i suoi pazienti!
Da questa sua esperienza trasse informazioni circa l'anatomia umana, ma soprattutto sulla cura delle ferite gravi. Descrisse così i metodi per ridurne le infezioni e le infiammazioni, affermando che « è necessario mantenere le ferite costantemente umide, poiché se la medicazione si secca, la piaga si infiamma ». Pertanto, le ferire andavano ricoperte con panni imbevuti di vino astringente, tenuti umidi, giorno e notte, da una spugna imbevuta loro sovrapposta.
Estremamente ambizioso e capace di promuovere da sè la sua immagine, seppe mettere le sue straordinarie conoscenze al servizio della sua professione, prestando assistenza a pazienti altrimenti "incurabili". Si esprimeva preferibilmente in greco, linguaggio che era considerato, a quei tempi, più consono ad un medico rispetto al latino [ed in greco scriverà la maggior parte delle sue opere]. Se a questo aggiungiamo relazioni umane importanti, ci rendiamo conto di come la sua fama si potesse spargere velocemente per l'Urbe. Divenne, quindi, un medico "alla moda". Da ultimo, un suo paziente, il console Flavio Boezio, lo introdusse a corte: ben presto divenne medico della famiglia imperiale, di Marco Aurelio prima, del figlio Commodo, una volta succedutogli, poi.
Fu proprio l'imperatore filosofo, desideroso di eliminare le superstizioni in campo medico che serpeggiavano tra i suoi sudditi, a incitare Galeno, suo medico, a divulgare l'approccio scientifico, con pubbliche letture e dimostrazioni di anatomia e di fisiologia su animali vivi
16.
Grazie a queste sperimentazioni, resecando nell'animale vivo
17, in successione, i fasci nervosi emergenti dal midollo spinale, potè dimostrare la loro azione di innervazione dei muscoli. Lo stesso metodo lo portò alla scoperta di sette nervi cranici su dodici ed in particolare della funzione del nervo ricorrente (chiamato anche
nervo di Galeno): una volta reciso, il maiale smetteva di lamentarsi. Sezionando il midollo spinale a vari livelli, dimostrò che i nervi spinali non solo portano la motricità (nervi duri) ma anche la sensibilità (nervi molli) delle aree innervate. Infatti il taglio causava non solo la paralisi ma anche la completa anestesia della parte sottostante. Sempre a livello di sistema nervoso, distinse le lesioni degli emisferi cerebrali da quelle del cervelletto.
Legando gli ureteri, sempre di animali vivi, potè dimostrare che l'urina è formata dai reni e non dalla vescica, come si riteva; a lui è dovuta anche la scoperta delle valvole cardiache.
Purtroppo l'assunto errato "anatomia animale = anatomia umana" lo portò a conclusioni spesso sbagliate: una per tutte, quella che alla base dell'encefalo umano vi fosse una
rete mirabile, la quale, invece, è presente solamente negli ungulati.
In compenso, grande merito va dato a Galeno per aver tramandato, attraverso il suo libro più conosciuto, il
Methodus medendi, la descrizione di 473 composizioni farmaceutiche
18 di origine animale, vegetale e minerale, unitamente alla loro prescrizione medica nelle varie malattie, alcune delle quali valide a tutt'oggi.
Il suo principale contributo è rappresentato dalla classificazione dei farmaci in base ai loro effetti farmacologici, in accordo alle loro qualità nella patologia umorale. Galeno cataloga i farmaci in tre gruppi:
I) comprende i farmaci elementari, i quali posseggono una sola qualità di freddo, caldo, umido e secco. Ciascun farmaco ha un grado di attività classificabile da 1 a 4.
II) comprende i farmaci composti, farmaci complessi che posseggono più di una qualità e che sono classificabili in base al loro livello di efficacia.
III) comprende le entità, cioé farmaci con azione specifica (ad es., lassativi, diuretici, etc.).
Ma la farmacopea di Galeno è famosa, anche, per tre "rimedi", universalmente noti e apprezzati: la hjera picra, la terra sigillata e la triaca.
La
hjera picra (amaro ieratico) è una mistura di
aloe,
coloquintide, spezie ed erbe, che con l'aggiunta di miele si trasformava in un elettuario
19 con effetto purgante «dolce ma drastico, capace di far evacuare tutti gli umori cattivi».
La
terra sigillata era un'argilla grassa che conteneva silice, allumina [ossido di alluminio], creta, magnesia e un tanto di ossido di ferro; chiamata anche
Lemnia, dal momento che veniva ricavata nell'isola di Lesmos (Grecia). Il nome di
terra sigillata le fu dato perché era confezionata in pastiglie che recavano un sigillo riproducente una capra. Veniva confezionata in un determinato giorno del mese ad opera di una sacerdotessa dopo aver compiuto un determinato rituale. La
terra sigillata trovava diverse indicazioni: per vomitare il veleno, per le punture degli animali velenosi, per la dissenteria e, secondo Galeno, anche per le ulcerazioni di vecchia data, fetide e putride. La si usava dopo averla disciolta con aceto.
Infine, la
triaca (teriaca o theriaca
20) era il polifarmaco per eccellenza dell'antica farmacopea. Conteneva un numero variabile di ingredienti, ma sempre molto elevato, fino ad un massimo, per alcune composizioni, di 70 elementi. Era efficace, oltre che come antidoto contro i morsi degli animali velenosi, anche in un
gran numero di pestilenze o malattie.
L'origine viene fatta risalire a Mitridate, re del Ponto (132-63 a.C.), il più celebre tra i sovrani esperti di tossicologia, con il confezionamento, assieme al suo medico Crateua, del
Mithridatium antidoton che risultava formato da 54 ingredienti. Il sovrano aveva studiato tutti i possibili casi di avvelenamento e di ognuno lo specifico rimedio; mettendo assieme tutti gli antidoti si poteva così contrastare ogni possibile veneficio. Nel I secolo d.C., Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, rielaborò la formula di Mitridate, aggiungendovi soprattutto
carne di vipera21. Il concetto base era sempre quello dell'assuefazione: il veleno è antidoto a se stesso, cioè
similia similibus curantur [cose simili sono curate da cose simili]. Nacque così la
Teriaca di Andromaco che con alterne vicende e differenti composizioni sopravvisse fino al secolo scorso.
[Per approfondire le conoscenze sulla teriaca accedere a questo sito]
Lo strumentario chirurgico22
Lo strumentario (neuro)chirurgico di epoca romana, così compiutamente
descritto da Celso nell'VIII libro del suo
De Medicina, non si discosta sostanzialmente da quello di epoca greca. Per gli interventi al cranio o alla colonna esso si compone di scalpelli, uncini, trapani, pinze da ossa, spatole e leve, cauterizzatori.
Scalpelli (bisturi)
Lo
scalpello6 [chiamato anche, a partire dal XV secolo, bisturi
23] rappresenta l'esempio più antico di "ferro chirurgico". Quelli d'epoca più antica erano di fatti di
selce o d'
ossidiana e, a partire dal 1000 a.C., data di nascita dell'Età del Ferro, con questo materiale. Dopo il 300 a.C. furono usati anche acciaio, bronzo o una combinazione delle due leghe (di solito lama di acciaio e impugnatura di bronzo). Circa la forma, nel corredo dei chirurgo ne esistevano di diverse lunghezze: quelli a lama lunga (18-17 cm) preferiti per incisioni profonde od estese; quelli a lama corta (12-13 cm), con manico più o meno sagomato, maggiormente utilizzati per incisioni fini e precise. Esistevano poi strumenti "due in uno": da una parte una lama affilata, dall'altra un cucchiaio un raschietto o una spatola.
Uncini
Altri strumenti di uso comune erano gli
uncini. Praticamente la loro funzione era molto simile a quella che anche oggi hanno nella moderna chirurgia. Due erano i tipi fondamentali: quelli a punta smussa, utilizzati come sonde (specilli) per la dissezione o per sollevare vasi sanguigni; quelli a punta acuminata, usati per agganciare e spostare brandelli di tessuto o per allargare i labbri di una ferita. Anche questi strumenti, come gli scalpelli, erano di acciaio o di bronzo.
Trapani
I
trapani erano usati per rimuovere le parti malate di un osso, soprattutto a livello cranico, o per rimuovere oggetti di notevole spessore (armi) dalle ossa. Sostanzialmente erano di due tipi: il
modiolo e la
terebra [vedi descrizione
più sopra]
Pinze
Le
pinze erano utilizzate principalmente per rimuovere frammenti ossei o altri oggetti, quali, ad es. punte di freccia, che non era possibile afferrare con le dita. Forgiate in acciaio o bronzo, lunghe 20 cm. circa, avevano solitamente manici lavorati, per rendere meno sdrucciolevole la presa del chirurgo, l'incernieratura delle due braccia posta asimmetricamente, in posizione distale rispetto ai manici, in modo da aumentare, spostando il fulcro delle leve, la forza di pensione delle punte, che apparivano opportunamente ricurve e con il margine interno seghettato, per mantenere saldamente la presa.
Leve per osso
Le
leve per osso indispensabili per sollevare ossa fratturate od infossate (rimettendole a livello) o per estrazioni dentarie (soprattutto di molari) consistevano in due parti speculari agganciate.
Cauterizzatori
Molto usato (ma anche, talvolta, abusato - vedi
Arcagato) dai chirurghi fu il
ferro per cauterizzazione (lat.
ferrum candens, ferro incandescente). Costruito solitamente in ferro, in casi particolari in bronzo, consisteva in un lungo manico affilato ad una estremità e terminante, dall'altra estremità, con una piccola piastra piatta. Questa, una volta arroventata, era applicata sui tessuti del malato per vari scopi: come mezzo di azione superficiale, per ridurre un'infiammazione nei tessuti profondi sottostanti od adiacenti; come emostatico; come bisturi, avendo il vantaggio di ottenere un taglio con emostasi simultanea; come agente necrotizzante per distruggere (bruciandola) una neoplasia.
È inoltre da ricordare che, durante il primo secolo d.C., al tempo di Celso, era conosciuta e praticata la
laringoscopia indiretta [
]. Questo metodo permise oltre che l'asportazione di corpi estranei, anche la conoscenza dell'anatomia funzionale e della fisiologia della laringe direttamente sul vivente prima che nel 1900 venisse introdotto il metodo diretto.
Le pratiche anestesiologiche
Gli antichi chirurgi avevano a disposizione un'ampia gamma di antidolorifici e sedativi, a cominciare dagli estratti del
papavero da oppio (morfina), dai semi di
giusquiamo (scopolamina), dallo
stramonio e dalla radice di
mandragora. Tutte queste piante fanno parte della famiglia botanica delle Solanacee.
Queste sostanze, finemente triturate o ridotte in polvere o estratte come
tintura, erano inalate oppure ingerite, disciolte in vino, aceto, latte od olio, miele o grasso, oppure sotto forma di pillole, o di infuso e decotto. Erano somministrate, singolarmente o mescolate in varia composizione tra loro, secondo dosaggi prestabiliti, al paziente, prima dell'intervento chirurgico, per indurre il sonno, che, almeno nell'auspicio del chirurgo, doveva durare tutto il tempo dell'intervento. Celso ne parla diffusamente nel libro V del De Medicina, dedicato alle terapie farmacologiche.
Il
papavero da oppio (
Papaverum somniferum) era largamente utilizzato, principalmente come antidolorifico. Il succo essiccato (oppio grezzo) estratto della sue capsule non ancora mature, dosato in gocce, veniva mescolato ad altre erbe e sostanze e somministrato in pillole o disciolto nel vino, nello zibibbo o nell'acqua.
Del
giusquiamo si utilizzavano le foglie, la radice e il succo. La sua era un'azione antispasmodica, calmante, analgesica, narcotica e midriatica. Induceva assopimento e poi sonno profondo con sogni spaventosi.
Dello
stramonio erano utilizzate in medicina le foglie ed i semi che esercitano azione antispasmodica, antiasmatica, antinevralgica ed antireumatica.
La
mandragora è una pianta con una grossa radice spesso panciuta e biforcuta (tale da farle assumere nell'immaginario popolare forme antropomorfe). Se ne usava soprattutto l'estratto alcoolico (radice di mandragora macerata nel vino) che veniva fatto bere, ma anche la radice fresca, che veniva data da masticare al paziente, essenzialmente a scopo anestetico, sedativo e narcotico, prima di un intervento o di una cauterizzazione.
Nel 70 d.C.
Dioscorides, medico greco trasferitosi a Roma, menzionò nel suo
De Materia Medica l'uso medicinale dei derivati della
Cannabis. Ma anche
Plinio il Vecchio e
Galeno ne descrissero le possibili applicazioni mediche
24.
La cannabis produce uno stato di coscienza oniroide (sognante) ed in genere una sensazione di benessere e rilassamento, effetti che non durano più di 2 o 3 ore dopo l'assunzione.
Certamente di maggior pregio, rispetto all'utilizzo del farmaco singolo, sono le
combinazioni farmacologiche.
Celso consiglia una pozione ad uso calmante/antidolorifico, costituita dalla combinazione di "calamo, semi di ruta, castoreo, cinnamono, oppio, mandragola, mele secche, loglio e pepe" (
De Medicina, V, 25.3).
È peraltro noto che, presso i Romani, con funzione anestetica, era in uso la
spongia somnifera (spugna sonnifera), la preparazione della quale era sufficientemente elaborata.
Benché dubbia sia la sua applicazione in chirurgia, certa è invece la sua utilizzazione per i condannati a morte per crocifissione; per questo era anche conosciuta con il nome di
morion o
vino della morte, dal momento che l'inalazione dei suoi vapori misti all'aceto o l'assunzione di vino alla mandragora, in cui talvolta era imbevuta, provocava nei condannati uno stato di morte apparente, talché i centurioni preposti alle esecuzioni avevano l'ordine di bucare il loro corpo con la lancia, prima di dichiararne la morte.
Probabilmente una spongia somnifera fu data a Cristo sulla croce, come testimoniano
tutti e quattro gli Evangelisti.
La
spongia, invero, troverà notevoli applicazioni anestetiche anche chirurgiche a partire dal secolo IX, grazie alla Scuola Medica Salernitana, e fino al XVII secolo.
In periodo tardo-imperiale si misero in luce Leonida di Alessandria, che studiò la filaria e fu chirurgo esperto di interventi su ernia e gozzo; il famoso chirurgo Filagrio e suo fratello Poseidonio, che si occupò delle malattie del cervello, descrivendo molto accuratamente i deliri acuti, gli stati comatosi, quelli catalettici, l'epilessia e la rabbia. Ma certamente più famosi furono Antillo, Oribasio e Paolo di Egina, le ultime due grandi personalità della chirurgia della Roma imperiale e bizantina delle quali ci siano pervenute testimonianze scritte.
Antillo, vissuto alla fine del III secolo d.C., studioso di due tipi di aneurismi: quello legato a difetti dello sviluppo (causato da dilatazione) e quello traumatico (come risultato della ferita di una arteria), fu molto noto come acuto ed abile chirurgo. Operò agli occhi, praticò tracheotomie, ablazioni tumorali. Fu inventore di una tecnica operatoria degli aneurismi dell'arteria poplitea, noto come
metodo di Antillo.
Oribasio (325-395 d.C.), medico dell'imperatore Giuliano l'Apostata, che regnò dal 361 al 363, fu l'autore romano più importante dopo Galeno. Infatti le sue
Συναγογαι Ιατρικαι (
Collecta Medicinalia, 70 volumi di cui la metà andata dispersa), nlle quali ampio spazio è dato alla chirurgia, costituiscono la Summa dell'arte medica dalle origini ai suoi tempi. Oribasio esegue, essenzialmente, un lavoro di compilazione: pertanto l'opera è pregevole per il lavoro di raccolta dei dati, meno per la totale assenza di contributi originali.
Diversa è la situazione di
Paolo di Egina25 che nel suo
De Re Medica, in 7 volumi, ha dedicato interamente alla chirurgia il V ed il VI di essi, inserendovi, diversamente da Oribasio, molto materiale interessante, frutto della sua personale osservazione ed esperienza, riguardo l'asportazione di calcoli, la trapanazione cranica, la tonsillectomia, la paracentesi, le amputazioni del seno e la chirurgia oculare. Fu famoso, in modo particolare, per la sua abilità professionale in ostetricia e ginecologia e per questo fu chiamato, dagli Arabi, "Al-Kawabeli", l'Ostetrico.
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13 Le medicatrinae erano l'equivalente degli attuali poliambulatori. Il termine è sinonimo di tabernae medicae.
14 Athenaeum fu la denominazione originariamente adottata per indicare il tempio della dea Atena, in Atene (Grecia), dove dotti e poeti leggevano le loro opere. Dopo il 136 d.C. appellativo attribuito alla scuola superiore fondata in Roma dall'imperatore Adriano e costruita in un luogo non ancora noto (si pensa sul colle capitolino).
15 Per
Arti Liberali si intendono comunemente quelle arti che richiedono attività intellettuale e applicazione della mente e dello spirito (Grammatica, Dialettica, Retorica - il "trivio" di epoca medioevale -, Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica - il "quadrivio" di epoca medioevale) in contrapposizione alle
Arti Meccaniche che si esercitano per lucro (ad es. Pittura, Architettura, Metallurgia, Medicina, etc.). In epoca romana, Medicina ed Architettura erano incluse nelle Arti Liberali (cf.
Varrone,
Libri Novem Disciplinarum).
16 Nell'antica Roma (come, d'altronde, nell'antica Grecia ma non ad Alessandria d'Egitto) era severamente proibito sezionare i cadaveri. Infatti, le culture greca antica e romana avevano un rispetto assoluto per i cadaveri dei defunti; quindi non v'era alcuna possibilità di studiare l'anatomia umana esercitandosi direttamente sul cadavere.
17 Tra gli animali, a detta di Galeno, il più simile anatomicamente all'uomo era il maiale, seguito dalla bertuccia. Questo tipo di scimmia era, ai tempi, abbastanza diffusa in Europa; oggigiorno è presente ancora a Gibilterra, nella rocca, una colonia di questi animali. Ma tra gli animali oggetto di vivisezione vi solo anche cani ed altri animali.
18 Queste preparazioni farmaceutiche che utilizzano prodotti di origine animale, vegetale e minerale sono ancor oggi chiamate, appunto, "galeniche".
19 L'elettuario era un preparato in cui venivano miscelate, con l'ausilio di miele, vino, frutta ridotta in polpa o di altre materie aromatiche come gomme (resine), sciroppi e succhi, spezie elette preventivamente ridotte in polvere finissima. Nome generico di antichi preparati farmaceutici sciropposi.
20 La parola "teriaca" deriva dal vocabolo greco θηριακός (buono contro le morsicature delle bestie, antidoto), a sua volta derivato da θηρίον (rettile, serpente, animale malefico), riferito quindi a serpenti velenosi di non ben definita origine; mentre la vipera ha una sua ben specifica definizione: έχιδνα.
21 Per la verità, anche se le composizioni della teriaca variano molto secondo i luoghi ed il tempo, la carne di vipera risulta essere sempre essenziale, purché tratta da: femmine, non pregne, non da acque salmastre, eliminando testa e coda, ed altri precisi ed inderogabili criteri di scelta.
22 La maggior parte dei reperti relativi allo strumentario chirurgico dei medici in epoca romana (I secolo d.C.) deriva dai ritrovamenti effettuati nella "casa del Chirurgo" durante gli scavi della Pompei romana, sepolta dalla lava dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. I reperti (40 strumenti) sono conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
23 Bisturi, o più precisamente bistouri, è una parola francese comparsa nel 1462 per indicare un pugnale o un rasoio. Essa è la deformazione gergale di pistorese = di Pistoia. La città di Pistoia era infatti conosciuta per la fabbricazione di lame per coltelli e pugnali.
24 In realtà l'utilizzo della cannabis a scopo anestetico è fatto risalire al II secolo a.C. al famoso medico Hua Tuo [
vedi] (Cina - dinastia Han); ma il suo uso in medicina data ancor più in là nel tempo, essendo citato nell'erbario pubblicato durante il regno dell'imperatore Shen Nung (Cina - 2737 a.C.), come rimedio per "disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale."
25 In realtà Paolo di Egina è un autore appartenente, storicamente, al Medioevo, anche se agli inizi, ma è ricordato qui perché con lui si chiude l'epoca dei grandi autori romani di medicina.