Conoscere la Neurochirurgia Home INDICE de La Storia La Colonna Traiana è l'unico monumento del Foro giunto praticamente intatto fino a noi. La Colonna, costruita in grandi blocchi di marmo lunense, poggia su una base e forma di dado; tra lo zoccolo e la cornice di questa, conclusa negli spigoli da quattro aquile che reggono festoni, la superficie libera è completamente ricoperta da bassorilievi rappresentanti la guerra contro i Daci. -- CLICCA PER INGRANDIRE Foro di Traiano - Roma Il grande altare di Zeus a Pergamo fu eretto tra il 183 e 174 a. C. Esso consisteva di un ampio recinto quadrilatero ed era contornato all'esterno da un colonnato, alto m. 4, il quale si protendeva in due avancorpi ad U, al cui centro era posta la monumentale scala d'accesso. Questa ampia scala faceva sì che il colonnato era posto alla sommità di un alto basamento, in parte modellato ad alto rilievo, in parte liscio. -- CLICCA PER INGRANDIRE Sito Pergamon-Museum - Berlin Sito Pergamon-Museum - Berlin Strumentario chirurgico rinvenuto nella 'Casa del Chirurgo' negli Scavi di Pompei e conservati nel Museo Arvheologico Nazionale di Napoli -- CLICCA PER INGRANDIRE Sito Museo Archeologico Nazionale - Napoli Sito Museo Archeologico Nazionale - Napoli Il legionario ai piedi della croce a destra porge a Gesù la spongia somnifera -- CLICCA PER INGRANDIRE Sito Musée de Cluny - Paris Vi è raffigurato l'imperatore Giustiniano con suo seguito. La sua figura spicca per la ricchezza della veste color porpora e per un alone che gli circonda il volto come simbolo del suo potere di origine divina. Egli sorregge un'ampia patèna dorata, quale offerta per la Divina Liturgia. I personaggi che accompagnano l'imperatore sono raffigurati di fronte. Quasi nessuno presenta elementi sicuri di riconoscimento. Alla sinistra di Giustiniano si evidenzia la figura del vescovo ravennate Massimiano, che tiene con la mano destra una croce gemmata. -- CLICCA PER INGRANDIRE Sito di San Vitale
Clinica Neurochirurgica, Università di Pavia - Conoscere la Neurochirugia - LA STORIA

LA MEDICINA DELL'ANTICA ROMA

Dai fasti imperiali alla decadenza

      Dopo la riforma voluta da Augusto, nell'esercito romano ci fu un medico per ogni coorte e due per quelle in prima linea. I medici dipendevano dal comandante della piazza e da un medico capo, che spesso era anche il medico personale dell'imperatore. L'assistenza ai feriti veniva prestata direttamente sul campo, ma i casi più gravi venivano ricoverati nel valetudinarium in castris, sorta di ospedale da campo in cui trovavano impiego anche infermieri, massaggiatori ed inservienti.
      È appena il caso di ricordare che la grande esperienza acquisita sui campi di battaglia nella cura di ferite e traumi e trasferita nelle scholae mediche, risultava, in tal modo, a disposizione di tutti. È grazie quindi all'opera di rilevamento delle decine di medici militari sparsi attraverso l'Impero che la traumatologia acquisì un tale avanzamento cognitivo da essere considerata all'avanguardia per molti secoli.
      Nell'epoca imperiale si affermarono anche i valetudinaria civili, cioè ospedali o infermerie private, dove i patrizi erano soliti curare i propri famigliari e gli schiavi. Famose, all'epoca, le medicatrinae13 adiacenti al tempio di Esculapio, sull'isola Tiberina, dove gli ammalati di ogni ceto sociale erano tenuti sotto la diretta osservazione di medici e dei loro discepoli.
      Ma l'evento più importante dell'inizio del I secolo d.C. fu la creazione di vere e proprie "scholae medicorum" (scuole di medicina), dove gli allievi, dapprima unicamente militari, ma poi, dal III secolo, anche civili, potevano imparare l'arte medica. Aveva così termine il periodo prettamente empirico della Medicina presso l'antica Roma: solo dei medici abilitati (non da un esame di idoneità, ma dal giudizio del maestro) potevano esercitare l'arte. La preparazione teorica era assicurata dalle scholae mentre il tirocinio pratico, in cui si apprendevano i rudimenti della semeiotica, della clinica e della chirurgia, avveniva nei valetudinari e durante le visite private che il maestro faceva nelle case dei suoi clienti.
      In tempi successivi, l'imperatore Vespasiano (9-79 d.C.) istituì uno stipendio per coloro che si dedicavano all'insegnamento, e l'imperatore Adriano (76-139 d.C.) anche un fondo pensioni. Lo stesso imperatore fece costruire un edificio (chiamato Athenaeum14), ludus ingenuarum artium quod Athenaeum vocant [palestra di arti liberali15 che chiamano Ateneo], come lo definisce due secoli dopo lo storico romano Sesto Aurelio Victor [Storia dei Cesari, 14.3], destinato ad ospitare pubbliche lezioni, probabilmente anche di medicina. Un secolo dopo, sotto il regno di Alessandro Severo (222-235 d.C.), avviene la creazione della prima cattedra statale di medicina e l'istituzione, decisa dall'imperatore Flavio Giuliano (332-363 d.C.), di una sorta di "facoltà di medicina" con un percorso di studi, obbligo di frequenza ai corsi ed esami finali.
CLICCA PER INGRANDIRE       E proprio nel periodo di massimo splendore dell'Impero che si colloca la figura di Claudio Galeno (129 - 199) [vedi Biografia in freccia a destraI Grandi Maestri], ritenuto il più famoso e studiato medico dell'antichità, secondo solo al greco Ippocrate. Infatti le sue idee, documentate in una grande varietà e numerosità di scritti sia in greco che in latino (di cui a noi pervenuti solamente 108, grazie alle traduzioni latine ed in arabo), hanno condizionato la scienza medica fino al XVI secolo.
      Galeno fu essenzialmente dedito all'arte della «medicina», della «patologia» e della «anatomia», interamente confinatovi, come ammette lui stesso (De Method. Med. vi,20) dalle usanze del posto. La « chirurgia», infatti, destò in lui, scarso interesse.
      Per la verità, nei primi tempi della sua formazione di medico, a Pergamo, fu un chirurgo validissimo. La conquista romana aveva esportato nei territori dell'Impero anche le usanze tipiche di Roma e tra queste i ludi gladiatori e le arene. A Pergamo, in Asia Minore, ne esisteva, appunto, una delle più grandi, capace di circa 20.000 spettatori. Galeno fu chiamato nel 157 a ricoprire l'incarico di chirurgo della locale arena, un incarico importante e di grande responsabilità, se si pensa che, a quei tempi, i gladiatori (di solito schiavi addestrati al combattimento personale con varie armi) rappresentavano un vero investimento per i loro padroni. E il lavoro non dovette mancargli di sicuro, tenuto conto che anche i gladiatori risultati "vincitori" al duello risultavano coperti di ferite, spesso anche profonde o gravisssime. Si dimostrò molto abile (e fortunato), poiché durante i quattro anni del suo mandato (nel 161 si trasferì a Roma) non si potè annoverare alcun decesso tra i suoi pazienti!
      Da questa sua esperienza trasse informazioni circa l'anatomia umana, ma soprattutto sulla cura delle ferite gravi. Descrisse così i metodi per ridurne le infezioni e le infiammazioni, affermando che « è necessario mantenere le ferite costantemente umide, poiché se la medicazione si secca, la piaga si infiamma ». Pertanto, le ferire andavano ricoperte con panni imbevuti di vino astringente, tenuti umidi, giorno e notte, da una spugna imbevuta loro sovrapposta.
      Estremamente ambizioso e capace di promuovere da sè la sua immagine, seppe mettere le sue straordinarie conoscenze al servizio della sua professione, prestando assistenza a pazienti altrimenti "incurabili". Si esprimeva preferibilmente in greco, linguaggio che era considerato, a quei tempi, più consono ad un medico rispetto al latino [ed in greco scriverà la maggior parte delle sue opere]. Se a questo aggiungiamo relazioni umane importanti, ci rendiamo conto di come la sua fama si potesse spargere velocemente per l'Urbe. Divenne, quindi, un medico "alla moda". Da ultimo, un suo paziente, il console Flavio Boezio, lo introdusse a corte: ben presto divenne medico della famiglia imperiale, di Marco Aurelio prima, del figlio Commodo, una volta succedutogli, poi.
      Fu proprio l'imperatore filosofo, desideroso di eliminare le superstizioni in campo medico che serpeggiavano tra i suoi sudditi, a incitare Galeno, suo medico, a divulgare l'approccio scientifico, con pubbliche letture e dimostrazioni di anatomia e di fisiologia su animali vivi16.
Clicca per ingrandire       Grazie a queste sperimentazioni, resecando nell'animale vivo17, in successione, i fasci nervosi emergenti dal midollo spinale, potè dimostrare la loro azione di innervazione dei muscoli. Lo stesso metodo lo portò alla scoperta di sette nervi cranici su dodici ed in particolare della funzione del nervo ricorrente (chiamato anche nervo di Galeno): una volta reciso, il maiale smetteva di lamentarsi. Sezionando il midollo spinale a vari livelli, dimostrò che i nervi spinali non solo portano la motricità (nervi duri) ma anche la sensibilità (nervi molli) delle aree innervate. Infatti il taglio causava non solo la paralisi ma anche la completa anestesia della parte sottostante. Sempre a livello di sistema nervoso, distinse le lesioni degli emisferi cerebrali da quelle del cervelletto.
      Legando gli ureteri, sempre di animali vivi, potè dimostrare che l'urina è formata dai reni e non dalla vescica, come si riteva; a lui è dovuta anche la scoperta delle valvole cardiache.
      Purtroppo l'assunto errato "anatomia animale = anatomia umana" lo portò a conclusioni spesso sbagliate: una per tutte, quella che alla base dell'encefalo umano vi fosse una rete mirabile, la quale, invece, è presente solamente negli ungulati.
     In compenso, grande merito va dato a Galeno per aver tramandato, attraverso il suo libro più conosciuto, il Methodus medendi, la descrizione di 473 composizioni farmaceutiche18 di origine animale, vegetale e minerale, unitamente alla loro prescrizione medica nelle varie malattie, alcune delle quali valide a tutt'oggi.
     Il suo principale contributo è rappresentato dalla classificazione dei farmaci in base ai loro effetti farmacologici, in accordo alle loro qualità nella patologia umorale. Galeno cataloga i farmaci in tre gruppi:
I) comprende i farmaci elementari, i quali posseggono una sola qualità di freddo, caldo, umido e secco. Ciascun farmaco ha un grado di attività classificabile da 1 a 4.
II) comprende i farmaci composti, farmaci complessi che posseggono più di una qualità e che sono classificabili in base al loro livello di efficacia.
III) comprende le entità, cioé farmaci con azione specifica (ad es., lassativi, diuretici, etc.).
Clicca per ingrandire      Ma la farmacopea di Galeno è famosa, anche, per tre "rimedi", universalmente noti e apprezzati: la hjera picra, la terra sigillata e la triaca.
     La hjera picra (amaro ieratico) è una mistura di aloe, coloquintide, spezie ed erbe, che con l'aggiunta di miele si trasformava in un elettuario19 con effetto purgante «dolce ma drastico, capace di far evacuare tutti gli umori cattivi».
     La terra sigillata era un'argilla grassa che conteneva silice, allumina [ossido di alluminio], creta, magnesia e un tanto di ossido di ferro; chiamata anche Lemnia, dal momento che veniva ricavata nell'isola di Lesmos (Grecia). Il nome di terra sigillata le fu dato perché era confezionata in pastiglie che recavano un sigillo riproducente una capra. Veniva confezionata in un determinato giorno del mese ad opera di una sacerdotessa dopo aver compiuto un determinato rituale. La terra sigillata trovava diverse indicazioni: per vomitare il veleno, per le punture degli animali velenosi, per la dissenteria e, secondo Galeno, anche per le ulcerazioni di vecchia data, fetide e putride. La si usava dopo averla disciolta con aceto.
Clicca per ingrandire      Infine, la triaca (teriaca o theriaca20) era il polifarmaco per eccellenza dell'antica farmacopea. Conteneva un numero variabile di ingredienti, ma sempre molto elevato, fino ad un massimo, per alcune composizioni, di 70 elementi. Era efficace, oltre che come antidoto contro i morsi degli animali velenosi, anche in un gran numero di pestilenze o malattie.
L'origine viene fatta risalire a Mitridate, re del Ponto (132-63 a.C.), il più celebre tra i sovrani esperti di tossicologia, con il confezionamento, assieme al suo medico Crateua, del Mithridatium antidoton che risultava formato da 54 ingredienti. Il sovrano aveva studiato tutti i possibili casi di avvelenamento e di ognuno lo specifico rimedio; mettendo assieme tutti gli antidoti si poteva così contrastare ogni possibile veneficio. Nel I secolo d.C., Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, rielaborò la formula di Mitridate, aggiungendovi soprattutto carne di vipera21. Il concetto base era sempre quello dell'assuefazione: il veleno è antidoto a se stesso, cioè similia similibus curantur [cose simili sono curate da cose simili]. Nacque così la Teriaca di Andromaco che con alterne vicende e differenti composizioni sopravvisse fino al secolo scorso.
[Per approfondire le conoscenze sulla teriaca accedere a questo sito]

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Lo strumentario chirurgico22

Lo strumentario (neuro)chirurgico di epoca romana, così compiutamente descritto da Celso nell'VIII libro del suo De Medicina, non si discosta sostanzialmente da quello di epoca greca. Per gli interventi al cranio o alla colonna esso si compone di scalpelli, uncini, trapani, pinze da ossa, spatole e leve, cauterizzatori.

Scalpelli (bisturi)
     Lo scalpello6 [chiamato anche, a partire dal XV secolo, bisturi23] rappresenta l'esempio più antico di "ferro chirurgico". Quelli d'epoca più antica erano di fatti di selce o d'ossidiana e, a partire dal 1000 a.C., data di nascita dell'Età del Ferro, con questo materiale. Dopo il 300 a.C. furono usati anche acciaio, bronzo o una combinazione delle due leghe (di solito lama di acciaio e impugnatura di bronzo). Circa la forma, nel corredo dei chirurgo ne esistevano di diverse lunghezze: quelli a lama lunga (18-17 cm) preferiti per incisioni profonde od estese; quelli a lama corta (12-13 cm), con manico più o meno sagomato, maggiormente utilizzati per incisioni fini e precise. Esistevano poi strumenti "due in uno": da una parte una lama affilata, dall'altra un cucchiaio un raschietto o una spatola.

Uncini
     Altri strumenti di uso comune erano gli uncini. Praticamente la loro funzione era molto simile a quella che anche oggi hanno nella moderna chirurgia. Due erano i tipi fondamentali: quelli a punta smussa, utilizzati come sonde (specilli) per la dissezione o per sollevare vasi sanguigni; quelli a punta acuminata, usati per agganciare e spostare brandelli di tessuto o per allargare i labbri di una ferita. Anche questi strumenti, come gli scalpelli, erano di acciaio o di bronzo.

Trapani
     I trapani erano usati per rimuovere le parti malate di un osso, soprattutto a livello cranico, o per rimuovere oggetti di notevole spessore (armi) dalle ossa. Sostanzialmente erano di due tipi: il modiolo e la terebra [vedi descrizione più sopra]

Pinze
     Le pinze erano utilizzate principalmente per rimuovere frammenti ossei o altri oggetti, quali, ad es. punte di freccia, che non era possibile afferrare con le dita. Forgiate in acciaio o bronzo, lunghe 20 cm. circa, avevano solitamente manici lavorati, per rendere meno sdrucciolevole la presa del chirurgo, l'incernieratura delle due braccia posta asimmetricamente, in posizione distale rispetto ai manici, in modo da aumentare, spostando il fulcro delle leve, la forza di pensione delle punte, che apparivano opportunamente ricurve e con il margine interno seghettato, per mantenere saldamente la presa.

Leve per osso
     Le leve per osso indispensabili per sollevare ossa fratturate od infossate (rimettendole a livello) o per estrazioni dentarie (soprattutto di molari) consistevano in due parti speculari agganciate.

Cauterizzatori
     Molto usato (ma anche, talvolta, abusato - vedi Arcagato) dai chirurghi fu il ferro per cauterizzazione (lat. ferrum candens, ferro incandescente). Costruito solitamente in ferro, in casi particolari in bronzo, consisteva in un lungo manico affilato ad una estremità e terminante, dall'altra estremità, con una piccola piastra piatta. Questa, una volta arroventata, era applicata sui tessuti del malato per vari scopi: come mezzo di azione superficiale, per ridurre un'infiammazione nei tessuti profondi sottostanti od adiacenti; come emostatico; come bisturi, avendo il vantaggio di ottenere un taglio con emostasi simultanea; come agente necrotizzante per distruggere (bruciandola) una neoplasia.

È inoltre da ricordare che, durante il primo secolo d.C., al tempo di Celso, era conosciuta e praticata la laringoscopia indiretta [freccia a destra]. Questo metodo permise oltre che l'asportazione di corpi estranei, anche la conoscenza dell'anatomia funzionale e della fisiologia della laringe direttamente sul vivente prima che nel 1900 venisse introdotto il metodo diretto.

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Le pratiche anestesiologiche
Clicca per ingrandire Gli antichi chirurgi avevano a disposizione un'ampia gamma di antidolorifici e sedativi, a cominciare dagli estratti del papavero da oppio (morfina), dai semi di giusquiamo (scopolamina), dallo stramonio e dalla radice di mandragora. Tutte queste piante fanno parte della famiglia botanica delle Solanacee.
     Queste sostanze, finemente triturate o ridotte in polvere o estratte come tintura, erano inalate oppure ingerite, disciolte in vino, aceto, latte od olio, miele o grasso, oppure sotto forma di pillole, o di infuso e decotto. Erano somministrate, singolarmente o mescolate in varia composizione tra loro, secondo dosaggi prestabiliti, al paziente, prima dell'intervento chirurgico, per indurre il sonno, che, almeno nell'auspicio del chirurgo, doveva durare tutto il tempo dell'intervento. Celso ne parla diffusamente nel libro V del De Medicina, dedicato alle terapie farmacologiche.
     Il papavero da oppio (Papaverum somniferum) era largamente utilizzato, principalmente come antidolorifico. Il succo essiccato (oppio grezzo) estratto della sue capsule non ancora mature, dosato in gocce, veniva mescolato ad altre erbe e sostanze e somministrato in pillole o disciolto nel vino, nello zibibbo o nell'acqua.
Clicca per ingrandire      Del giusquiamo si utilizzavano le foglie, la radice e il succo. La sua era un'azione antispasmodica, calmante, analgesica, narcotica e midriatica. Induceva assopimento e poi sonno profondo con sogni spaventosi.
      Dello stramonio erano utilizzate in medicina le foglie ed i semi che esercitano azione antispasmodica, antiasmatica, antinevralgica ed antireumatica.
     La mandragora è una pianta con una grossa radice spesso panciuta e biforcuta (tale da farle assumere nell'immaginario popolare forme antropomorfe). Se ne usava soprattutto l'estratto alcoolico (radice di mandragora macerata nel vino) che veniva fatto bere, ma anche la radice fresca, che veniva data da masticare al paziente, essenzialmente a scopo anestetico, sedativo e narcotico, prima di un intervento o di una cauterizzazione.
Clicca per ingrandire      Nel 70 d.C. Dioscorides, medico greco trasferitosi a Roma, menzionò nel suo De Materia Medica l'uso medicinale dei derivati della Cannabis. Ma anche Plinio il Vecchio e Galeno ne descrissero le possibili applicazioni mediche24.
     La cannabis produce uno stato di coscienza oniroide (sognante) ed in genere una sensazione di benessere e rilassamento, effetti che non durano più di 2 o 3 ore dopo l'assunzione.
     Certamente di maggior pregio, rispetto all'utilizzo del farmaco singolo, sono le combinazioni farmacologiche.
     Celso consiglia una pozione ad uso calmante/antidolorifico, costituita dalla combinazione di "calamo, semi di ruta, castoreo, cinnamono, oppio, mandragola, mele secche, loglio e pepe" (De Medicina, V, 25.3).
     È peraltro noto che, presso i Romani, con funzione anestetica, era in uso la spongia somnifera (spugna sonnifera), la preparazione della quale era sufficientemente elaborata.
     Benché dubbia sia la sua applicazione in chirurgia, certa è invece la sua utilizzazione per i condannati a morte per crocifissione; per questo era anche conosciuta con il nome di morion o vino della morte, dal momento che l'inalazione dei suoi vapori misti all'aceto o l'assunzione di vino alla mandragora, in cui talvolta era imbevuta, provocava nei condannati uno stato di morte apparente, talché i centurioni preposti alle esecuzioni avevano l'ordine di bucare il loro corpo con la lancia, prima di dichiararne la morte.
     Probabilmente una spongia somnifera fu data a Cristo sulla croce, come testimoniano tutti e quattro gli Evangelisti.
     La spongia, invero, troverà notevoli applicazioni anestetiche anche chirurgiche a partire dal secolo IX, grazie alla Scuola Medica Salernitana, e fino al XVII secolo.

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     In periodo tardo-imperiale si misero in luce Leonida di Alessandria, che studiò la filaria e fu chirurgo esperto di interventi su ernia e gozzo; il famoso chirurgo Filagrio e suo fratello Poseidonio, che si occupò delle malattie del cervello, descrivendo molto accuratamente i deliri acuti, gli stati comatosi, quelli catalettici, l'epilessia e la rabbia. Ma certamente più famosi furono Antillo, Oribasio e Paolo di Egina, le ultime due grandi personalità della chirurgia della Roma imperiale e bizantina delle quali ci siano pervenute testimonianze scritte.
     Antillo, vissuto alla fine del III secolo d.C., studioso di due tipi di aneurismi: quello legato a difetti dello sviluppo (causato da dilatazione) e quello traumatico (come risultato della ferita di una arteria), fu molto noto come acuto ed abile chirurgo. Operò agli occhi, praticò tracheotomie, ablazioni tumorali. Fu inventore di una tecnica operatoria degli aneurismi dell'arteria poplitea, noto come metodo di Antillo.
     Oribasio (325-395 d.C.), medico dell'imperatore Giuliano l'Apostata, che regnò dal 361 al 363, fu l'autore romano più importante dopo Galeno. Infatti le sue Συναγογαι Ιατρικαι (Collecta Medicinalia, 70 volumi di cui la metà andata dispersa), nlle quali ampio spazio è dato alla chirurgia, costituiscono la Summa dell'arte medica dalle origini ai suoi tempi. Oribasio esegue, essenzialmente, un lavoro di compilazione: pertanto l'opera è pregevole per il lavoro di raccolta dei dati, meno per la totale assenza di contributi originali.
     Diversa è la situazione di Paolo di Egina25 che nel suo De Re Medica, in 7 volumi, ha dedicato interamente alla chirurgia il V ed il VI di essi, inserendovi, diversamente da Oribasio, molto materiale interessante, frutto della sua personale osservazione ed esperienza, riguardo l'asportazione di calcoli, la trapanazione cranica, la tonsillectomia, la paracentesi, le amputazioni del seno e la chirurgia oculare. Fu famoso, in modo particolare, per la sua abilità professionale in ostetricia e ginecologia e per questo fu chiamato, dagli Arabi, "Al-Kawabeli", l'Ostetrico.

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13 Le medicatrinae erano l'equivalente degli attuali poliambulatori. Il termine è sinonimo di tabernae medicae.
14 Athenaeum fu la denominazione originariamente adottata per indicare il tempio della dea Atena, in Atene (Grecia), dove dotti e poeti leggevano le loro opere. Dopo il 136 d.C. appellativo attribuito alla scuola superiore fondata in Roma dall'imperatore Adriano e costruita in un luogo non ancora noto (si pensa sul colle capitolino).
15 Per Arti Liberali si intendono comunemente quelle arti che richiedono attività intellettuale e applicazione della mente e dello spirito (Grammatica, Dialettica, Retorica - il "trivio" di epoca medioevale -, Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica - il "quadrivio" di epoca medioevale) in contrapposizione alle Arti Meccaniche che si esercitano per lucro (ad es. Pittura, Architettura, Metallurgia, Medicina, etc.). In epoca romana, Medicina ed Architettura erano incluse nelle Arti Liberali (cf. Varrone, Libri Novem Disciplinarum).
16 Nell'antica Roma (come, d'altronde, nell'antica Grecia ma non ad Alessandria d'Egitto) era severamente proibito sezionare i cadaveri. Infatti, le culture greca antica e romana avevano un rispetto assoluto per i cadaveri dei defunti; quindi non v'era alcuna possibilità di studiare l'anatomia umana esercitandosi direttamente sul cadavere.
17 Tra gli animali, a detta di Galeno, il più simile anatomicamente all'uomo era il maiale, seguito dalla bertuccia. Questo tipo di scimmia era, ai tempi, abbastanza diffusa in Europa; oggigiorno è presente ancora a Gibilterra, nella rocca, una colonia di questi animali. Ma tra gli animali oggetto di vivisezione vi solo anche cani ed altri animali.
18 Queste preparazioni farmaceutiche che utilizzano prodotti di origine animale, vegetale e minerale sono ancor oggi chiamate, appunto, "galeniche".
19 L'elettuario era un preparato in cui venivano miscelate, con l'ausilio di miele, vino, frutta ridotta in polpa o di altre materie aromatiche come gomme (resine), sciroppi e succhi, spezie elette preventivamente ridotte in polvere finissima. Nome generico di antichi preparati farmaceutici sciropposi.
20 La parola "teriaca" deriva dal vocabolo greco θηριακός (buono contro le morsicature delle bestie, antidoto), a sua volta derivato da θηρίον (rettile, serpente, animale malefico), riferito quindi a serpenti velenosi di non ben definita origine; mentre la vipera ha una sua ben specifica definizione: έχιδνα.
21 Per la verità, anche se le composizioni della teriaca variano molto secondo i luoghi ed il tempo, la carne di vipera risulta essere sempre essenziale, purché tratta da: femmine, non pregne, non da acque salmastre, eliminando testa e coda, ed altri precisi ed inderogabili criteri di scelta.
22 La maggior parte dei reperti relativi allo strumentario chirurgico dei medici in epoca romana (I secolo d.C.) deriva dai ritrovamenti effettuati nella "casa del Chirurgo" durante gli scavi della Pompei romana, sepolta dalla lava dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. I reperti (40 strumenti) sono conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
23 Bisturi, o più precisamente bistouri, è una parola francese comparsa nel 1462 per indicare un pugnale o un rasoio. Essa è la deformazione gergale di pistorese = di Pistoia. La città di Pistoia era infatti conosciuta per la fabbricazione di lame per coltelli e pugnali.
24 In realtà l'utilizzo della cannabis a scopo anestetico è fatto risalire al II secolo a.C. al famoso medico Hua Tuo [vedi] (Cina - dinastia Han); ma il suo uso in medicina data ancor più in là nel tempo, essendo citato nell'erbario pubblicato durante il regno dell'imperatore Shen Nung (Cina - 2737 a.C.), come rimedio per "disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale."
25 In realtà Paolo di Egina è un autore appartenente, storicamente, al Medioevo, anche se agli inizi, ma è ricordato qui perché con lui si chiude l'epoca dei grandi autori romani di medicina.

 

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CONOSCERE LA NEUROCHIRURGIA: LA STORIA
a cura dello Staff della Clinica Neurochirurgica dell'Università di Pavia
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