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Per concludere parliamo un po’ degli anni difficili
del ‘64, ‘65. Lei è arrivato nel ‘66 quindi dopo. Ma che cosa era
successo? Ecco io volevo un po’ ricostruire questo che è il primo
momento veramente di crisi del Comboni, forse quello più grosso
che ha avuto nella storia del Comboni
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Eh certamente è stato quello più grosso perché
ha portato prima di tutto ad una stasi, dopo smarrimento e dispersione
di personale. Ti avevo accennato che a quel tempo lì ci si era orientati
ad iniziare alcuni corsi High Level e c’era il personale. Tipo Vantini,
Sina, Corona, uno che si era laureato ad Oxford. Personale preparato apposta,
in vista di questo sviluppo. Io mi ricordo rimettendo a posto l’armadio
lì all’ufficio del preside mi ricordo, ad un certo momento mi trovo
dei files dove ho trovato lì, perfino l’orario scolastico era già
stato fissato. Quindi il progetto è andato avanti e t’arriva la
rivolta, la sommossa. Lì prima di tutto c’è stato la... la
sommossa era contro i neri e tutto quello che era in connessione con i
neri. E quindi anche il Comboni. Nel Comboni in quel tempo non è
che ci fossero molti studenti neri a livelli superiori, ce n’era un gruppetto.
Ma rispetto ai musulmani erano pochi. Però c’era la cappella che
era un po’ il centro di operai che venivano, fratel Sergi lavorava con
gli operai, e da lì diventavano anche cattolici, c’era un po’ tutto
un giro del mondo sud sudanese attorno al Comboni. E’ per quello che ce
l’avevano... chi mescolava le carte ce l’aveva anche con il Comboni. Il
Comboni non è stato attaccato, non è stato bruciato, perché
i ragazzi dell’internato, alcuni hanno preso i padri li hanno caricati
sulle macchine e li hanno portati fuori, altri hanno fatto cordone attorno
alla scuola e hanno convinto la gente a non toccare la scuola, perché
questa è scuola nostra. Il capo era Mubarak Fadil Mahdi, il nipote
di Sadiq al Mahdi.
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Mentre la scuola dei protestanti venne bruciata...
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Quella è stata bruciata perché purtroppo i gruppi di
neri... quando iniziò lo scontro con gli arabi che venivano dal
mercato e i neri che venivano dall’aeroporto, un gruppo di neri scavalcò
il muro in cerca di rifugio e lì che è cominciata la cosa.
Gli arabi hanno cominciato, sono andati appresso, hanno cominciato ad ammazzare,
poi hanno dato fuoco a tutto e poi si sono messi attorno lungo la strada,
chi scendeva per fuggire dal fuoco aveva la testa massacrata con i sassi
e i bastoni, proprio schiacciata. E’ stato un...
E quanti morti ci furono?
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Nessuno lo sa, ma diverse migliaia. A me dissero che lì attorno
al Comboni avevano visto i camion carichi, così come sacchi.
Perché successe la stessa cosa ai nordisti negli anni ‘55
‘56 quando ci furono... però lì non furono migliaia, furono
un centinaio. Cioè nel sud l’esercito si ammutinò
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Quello lì fu proprio, per due o tre giorni... che poi si estese
un po’, non soltanto lì a Khartum, a Khartum North per esempio.
La scuola di Khartum North fu saccheggiata, proprio. Atbara lo stesso.
E quindi un po' tutta la nostra struttura missionaria scolastica fu sconvolta
e alcuni dei nostri ricevettero... fu uno shock tale che non si sono più
ripresi.
Fu un momento molto duro, però nello stesso periodo ci fu
l’espulsione dal sud...
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E poi ecco, quello accumulò ancora le cose. L’espulsione c’era
già stata quella lì, l’espulsione dal sud, e quindi in senso
si sfinimento, si contemplava seriamente di... più fuori Khartum
che a Khartum... cioè i comboniani nel mondo, spingevano perché
si lasciasse: fuori dal Sud Sudan? Via anche dal Nord Sudan. Fortunatamente
quelli del Nord Sudan hanno detto no! E in più c’è stato
anche Giovanni XXIII, disse di no, e quello, diciamolo chiaro, quel restare
ha salvato il cristianesimo nel Sudan perché se fossimo usciti non
saremmo più entrati e quel piccolo nucleo di cristiani che era giù
nel [300.000? 800.000?] Sud Sudan, tutto concentrato nel Sud Sudan non
avrebbe avuto gran che di futuro e certamente non avrebbe avuto nessun
sviluppo.
Ma come mai il governo sudanese non... dato che aveva fatto 30 poteva
fare 31... mandarvi via dal sud e dal nord, che cosa lo bloccò?
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Il decreto di espulsione era firmato lo bloccò la pressione
del personale diplomatico straniero. Specialmente, strano, ma specialmente
il Libano. Infatti Mons. Baroni più di una volta si è visto
dire dal governo: "guarda che il decreto è qui, è pronto...".
Quindi, vedi, la cosa non è mai morta, è stata semplicemente
accantonata. Allora nella opposizione alla chiesa cattolica il governo
ha fatto ricorso a diversi metodi. Praticamente quello di non dare il placement,
selezionare il personale, quindi certe persone non le vogliamo, come, ad
esempio attualmente se tu vai per la scuola, "per la scuola, dice, noi
non ne abbiamo bisogno". Poi nel paese tu puoi uscire, vabbè tu
puoi uscire benissimo, però dopo quando rifai l’applicazione per
rientrare non te la danno. Allora per noi la preoccupazione lì:
mai lasciare il paese senza il rientro. Poi quell’altro, lo stay permit,
per un anno era la regola. Ad un certo momento lo hanno portato a sei mesi.
Addirittura a tre mesi. Io ci sono stati un paio di anni che non ho avuto
mai il passaporto in mano perché appena ottenevo il coso, dovevo
rimetterlo dentro per iniziare le pratiche per il rinnovo dello stay permit.
Quindi limitazioni negli spostamenti: io come provinciale per due volte
mi è stato negato il permesso, una volta per accompagnare un gruppo
alle piramidi di Meroe, e quello vabbè, era un professore inglese
dell’università di Khartum, erano inglesi, ma l’altro che mi costò
di più ad El Obeid. Quando Mons. Menegazzo fece l’ingresso in diocesi
io non c’ero. Non dovetti andarci perché mi rifiutarono il permesso.
E allora tutte queste cose... che poi fuori Khartum se ti trovavi, ti trovavi
con delle persone più ragionevoli, per carità ti davano anima
e cuore, ti trovavi invece quello che... come è successo a Javier
e Parladè, uè lo hanno portato da Ragia a Khartum perché
non aveva il passaporto. Il passaporto ce l’ha la Security a Khartum. Non
ce l’hai devi lasciare. L’hanno caricato, ha fatto un viaggio di 18 giorni,
non gli hanno dato la possibilità di mettersi in contatto con nessuno
lungo la strada. Quando è arrivato a Kosti era vicinissimo alla
Missione, non gli hanno permesso di mettersi in comunicazione con i nostri.
Quando vogliono essere perfido sono eh. Però a dire la verità
siamo riusciti a sopravvivere un po’ per provvidenza, un po’ per fortuna
e un po’ anche per buona volontà di tanta gente del Sudan che non
ci stanno di fare, di prendere quelle misure estreme di lotta contro di
noi. |